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Allonsanfàn
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Il sole dell’Europa che si avvia al tramonto

Poco tempo fa mi trovavo in auto al confine di Ventimiglia verso la Francia. Ero in coda da circa un’ora; non era ancora tempo di vacanze e nemmeno un sabato o una domenica. Il blocco non era causato dalla polizia di confine italiana, ma dalla gendarmeria francese che ispezionava le auto e controllava i documenti dei passeggeri con pignoleria e con un’arroganza tipica della ben nota inospitalità dei francesi.

Il giorno prima il governo di Parigi aveva deciso di sospendere il trattato di Schengen che, firmato nel giugno del 1985, permetteva di eliminare gradualmente il controllo alle frontiere dei Paesi europei e consentiva la libera circolazione all’interno di essi dei cittadini dell’Unione.

Vedere i gendarmi con espressioni severe chiedere i documenti e ordinare di aprire il portabagagli dell’auto con l’intento di scovare qualche clandestino, fece precipitare i miei pensieri a tanti anni prima, alle code di Chiasso, quando i doganieri italiani ti sequestravano la tavoletta di cioccolata o il barattolo di marmellata che portavi al rientro in Italia da Lugano. O quando, più tardi da giornalista, attraversavo qualche frontiera oltre Cortina accolto dai poliziotti che sempre scortesi controllavano per tre, quattro volte il passaporto.

Una volta osai chiedere a uno: “Perché non sorridete mai?” Questi mi fece scendere dall’auto e mi condusse in uno stanzino alla presenza di un giovane ufficiale. Rimasti soli, il graduato mi fece un ampio sorriso e si scusò dicendomi che purtroppo “gli ordini erano quelli di essere duri”. Finì che parlammo della “bella Italia”. Mi disse anche di aver letto da poco La vita agra di Luciano Bianciardi tradotto nella sua lingua.

Durante la coda di Ventimiglia non paragonai la Francia ai Paesi comunisti di una volta, ma mi sentii menomato di una libertà conquistata come cittadino europeo, munito di un passaporto che portava la scritta di “Europa”, e che veniva esibito soltanto al di fuori dell’Unione.

Era accaduto anche con la Brexit, dopo che il governo britannico fece chiudere agli aeroporti gli ingressi riservati ai cittadini europei; quando da Parigi e Londra attraverso l’Eurotunnel il treno Eurostar che impiegava 2 ore raddoppiò i tempi di percorrenza a causa dei controlli aldilà della Manica.

L’attuazione di Schengen fu una grande rivoluzione per i cittadini europei, la liberazione da quei controlli burocratici e oppressivi che disturbavano sin dal diciottesimo secolo gli artisti, i privilegiati della nobiltà e della ricca borghesia che si avventuravano nei gran tour per l’Europa.

Per esempio Goethe all’inizio del suo Viaggio in Italia, proveniente dall’Austria si era fermato a Malcesine nella Repubblica veneta, per disegnare il paesaggio del lago di Garda. Venne arrestato come spia e rimase in carcere per qualche giorno fino a quando l’equivoco non fu risolto.

Una parentesi di libertà alle frontiere ci fu a cavallo tra la seconda metà del 1800 e i primi del ’900. La descrisse lo scrittore austriaco Stefan Zweig nella sua opera autobiografica (purtroppo trascurata) Il Mondo di ieri, ricordi di un europeo. Raccontò dei tempi della belle époque, della seconda rivoluzione industriale, del liberalismo, delle infinite invenzioni, delle grandi esposizioni universali, di “quando si potevano attraversare le frontiere senza esibire i passaporti” che in realtà avveniva per quei viaggiatori privilegiati delle prime classi dei treni di lusso che percorrevano l’Europa, non per gli emigranti delle terze classi. L’Europa era in pace dal 1870 e le guerre erano rivolte verso le conquiste coloniali.

Lo scrittore racconta che alla fine di luglio del 1914 riuscì a prendere l’ultimo treno che da Ostenda, dove abitualmente andava in vacanza, lo avrebbe riportato in Austria. Il primo agosto la belle époque fu cancellata di colpo con l’invasione del Belgio da parte della Germania e l’inizio della prima guerra mondiale.

Zweig, un intellettuale laico di famiglia ebraica, continuò a descrivere l’Europa distrutta da quell’assurdo conflitto, il successivo avvento di Hitler, le invasioni dell’Austria, della Cecoslovacchia e infine quella della Polonia che dette inizio alla nuova guerra.

Lo scrittore nel frattempo si era trasferito a Londra, ma allo scoppio del conflitto le autorità britanniche lo espulsero dal Paese come cittadino di una nazione nemica, pur conoscendo le sue idee antinaziste. Riparò in Brasile e nel 1942 si suicidò con la moglie Lotte, dopo aver inviato al suo editore inglese il manoscritto de Il Mondo di ieri.

Per lui l’Europa, “patria di elezione del mio cuore”, era perduta per sempre e nell’epigrafe che conclude il suo libro cita il Giulio Cesare di Shakespeare che dice: “Il sole di Roma è calato, la nostra giornata è finita”.

Eppure nel 1941, quando sull’Europa incombevano distruzione e morte, tre italiani antifascisti, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, produssero Il Manifesto di Ventotene, pensato ed elaborato nell’isola in cui erano confinati. Predissero un’Europa del dopoguerra, dove le nazioni avrebbero collaborato insieme per una unione tra gli Stati senza più guerre, con un Parlamento eletto a suffragio universale.

A fine guerra l’iniziativa di Spinelli venne raccolta con grande interesse da Alcide De Gasperi e Paul Henri Spaak, rispettivamente premier italiano e belga, e da Jean Monnet, politico francese ed ex presidente del Comitato di liberazione nazionale di France Libre. Spinelli fu nominato loro consulente. Grazie a quel gruppo venivano create le basi della nuova Europa dalle quali partì lentamente il cammino verso l’Unione.

“E adesso con lo scoppio della guerra in Ucraina siamo destinati a tornare al punto di partenza?” scrive lo storico inglese Timothy Garton Ash sul suo saggio Patrie, che è la storia vista durante i suoi tanti viaggi per l’Europa.

Come uscire da questa pericolosa impasse? Per ora Bruxelles resta impotente. Penso che la stessa atmosfera raccontata ieri da Zweig , oggi si sia ripetuta col grande ottimismo nato dopo la caduta del Muro di Berlino che avvolse l’Europa come una nuova e tecnologica belle époque. Ora come andrà a finire?

Sì, prima c’era un grande ottimismo: nell’Unione entrarono tanti altri Paesi, molti dei quali erano appartenuti al blocco sovietico. I media dedicarono molto spazio all’Europa che progrediva e offriva ai suoi abitanti tante opportunità. Si viaggiava di più spendendo di meno, si scoprivano luoghi sconosciuti ma bellissimi; attraverso l’Erasmus gli studenti potevano accedere alle Università straniere e svincolarsi dal provincialismo dei propri Paesi. E molti, specialmente italiani, nelle altre nazioni vi sono rimasti per lavorare, grazie alle migliori condizioni contrattuali e al riconoscimento della loro preparazione.

Anche il cinema si è occupato della nuova Europa: ricordo bene Lisbon Story di Wim Wenders girato nel 1994. Raccontava di un tecnico cinematografico tedesco che dalla Germania doveva raggiungere il suo regista a Lisbona.

Europa Vittorini
Il tram 28 a Lisbona

Parte con la sua vecchia Citroen DS e la cinepresa lo segue nel suo lungo viaggio attraverso l’Olanda, il Belgio, la Francia e la Spagna. Non trova mai una barriera doganale e il passaggio da uno Stato all’altro viene segnalato dall’autoradio che trasmette programmi nella lingua del Paese attraversato. Avveniva tutto in autostrada, una lunga arteria che univa senza più interruzioni la Germania alla Spagna.

Finalmente dopo tanti problemi provocati dalla vecchia auto, arriva a Lisbona. E andando alla ricerca del suo regista, scopre la città con la sua bellezza non ancora contaminata dal turismo di massa, col vecchio tram, il 28, che porta all’antico quartiere dell’Alfama; con una popolazione gentile e accogliente; le memorabili canzoni di Amalia Rodriguez e quelle nuovissime e altrettanto affascinanti di Teresa Salgueiro.

Volli anch’io, con umile curiosità, scoprire quella Lisbona che avevo conosciuto a malapena nell’aprile del 1974 durante la pacifica rivoluzione dei garofani. Vi tornai in auto con mia moglie nel ’96 percorrendo la costa mediterranea francese e poi raggiungendo Biarritz da dove giorni dopo sarei entrato nel Paese Basco e infine nel nord del Portogallo.

Percorremmo la litoranea della località balneare francese, famosa durante la belle époque e ormai decaduta, in cerca di un albergo, e mezz’ora dopo, senza renderci conto, ci trovammo alla periferia di San Sebastian, in Spagna. Non avevamo mai incontrato barriere.

Oggi quelle sensazioni di libertà sembrano avviarsi verso il tramonto. Alle violazioni di Schengen si sono aggiunte le turbe di turisti da selfie. È cambiata anche Lisbona: pur rimasta sempre bella, adesso viene soffocata dai visitatori ai quali non importa di Amalia Rodriguez, del Fado o di Teresa Salgueiro. Si divertono a salire sul tram 28 come al luna park, ormai disertato dagli abitanti della città. Forse il sole dell’Europa anche di questi tempi si è avviato verso il tramonto.

Nella foto grande, un murale a Chamusca (Portogallo) per celebrare il 25 aprile (Credit: Júlio Reis)

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