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Umberto Lucarelli. Sei giorni troppo lunghi di violenza dello Stato

Sei giorni troppi lunghi (Milieu edizioni) è la storia di un gruppo di giovani e della violenza che subiscono dalle forze dell’ordine, dagli uomini dello Stato, quando vengono sospettati di un crimine che non hanno commesso – l’omicidio politico di un gioielliere.

Siamo nel lontano (ma è davvero lontano?) 1979. Umberto Lucarelli è uno di quei ragazzi e da scrittore crede nella memoria – lo provano i suoi romanzi documento germinati negli anni, che il tempo e la riflessione hanno spesso portato lontano dai progetti originali, come è accaduto per Vicolo Calusca, dedicato al libraio e attivista Primo Moroni, ma non dimentico il bel libro, meno pubblico degli altri, che ha raccolto l’addio ai genitori, Commiato (entrambi i titoli sono editi da Bietti).

Lucarelli, credendo nella memoria, inscrive le sue vecchie e nuove pagine alla luce di “sogni non venduti mai”. Sopravvissuto alla giovinezza senza cambiare idea o utopia, ha semmai ripensato privatamente e storicamente la sconfitta politica maturata dalla cosiddetta sinistra rivoluzionaria all’indomani del 1977.

Ma qui non importa discuterne. I ragazzi incarcerati e poi prosciolti dopo essere stati torturati – si tratta di sevizie inenarrabili e il compito che si è scelto Lucarelli è quello di narrarle, quasi mezzo secolo dopo – i ragazzi, dicevo, fanno parte del collettivo autonomo della Barona di Milano, e parlano uno per volta dell’arresto e della detenzione in un testo corale, svolto in una liquida e sofisticata (nel senso di ripulita fino a essere limpida) presa diretta-presa di coscienza della violenza dello Stato, rovesciatasi all’improvviso su di loro tra l’altro dieci anni dopo il famigerato “malore attivo” che avrebbe scaraventato giù da una finestra l’anarchico Pinelli.

Umnerto Lucarelli (1961)

Che significato ha il ricordare di Lucarelli? Quello di testimoniare e denunciare, quando scrive delle torture fisiche come il waterboarding o quando racconta dei poliziotti che sfottono sua madre dicendole che non vedrà mai più il figlio terrorista e poi fanno quel gesto odioso di abbassargli la testa per caricarlo in auto come un malfattore e condurlo via a sirene spiegate.

Quello che resterà all’ex ragazzo, alla fine di queste pagine, “è l’indignazione, il soffocare e la grande paura di essere in mano a forze superiori che potevano disporre di te  impunemente […] È così che germoglia l’odio […] Se subisci violenza finisci col restituirla in qualche modo, pensavo […] ma a me l’odio e la ritorsione non mi sono mai venuti, mi ha raggiunto invece un’immensa tristezza e una grande pena per tutti, per noi, per loro, le vittime, gli aguzzini, i carnefici, una grande pena per i colpi ricevuti […] una tristezza spaventosa e un vuoto tremendo per essere stato dentro quei quadratini con le sbarre, per chi aveva pensato e realizzato quei quadratini con le sbarre…”.

Si potrebbe argomentare che Lucarelli scrive di fatti lontani e in fondo amnistiabili nella dimenticanza in mezzo a tanto trascorso ruggire di armi e scoppiare di bombe. Non sono forse fatti “sorpassati” dal tempo? Per rispondere sull’attualità, basta fare due nomi, Cucchi e Aldrovandi (ma possiamo aggiungere anche Cospito), o leggere la postfazione a cura di un detenuto politico, Pasquale Abatangelo.

Altra domanda: che senso ha per Lucarelli “fare letteratura”? Non credo di sbagliare se dico che è il tentativo di rendere in una forma condivisibile emotivamente e ridiscutere o ribadire con più persone possibile quello che, in questi giorni incattiviti, può apparire più o meno come un messaggio in bottiglia…

A margine. Proprio mentre scrivo rimango stupefatto che un Ministro della Malavita faccia o lasci prendere a manganellate dei ragazzetti a Firenze. Mi accorgo che mi ha destato sorpresa anche il fatto che, nel racconto di Lucarelli, giovani tanto più consapevolmente in lotta con uno Stato presunto stragista si stupiscano della sua ferocia. Ma forse ciò che mi spiazza e mi invoglia a saperne di più, è quello che lo scrittore, chiudendo per scelta l’obiettivo della narrazione – il suo è essenzialmente un libro contro la tortura “usata” come prassi in Italia – non crede necessario specificare: e cioè che il gioielliere assassinato è Pierluigi Torregiani, cui è legata una terribile storia di sangue e crudeltà, di mala informazione e mistificazione, di follia e ideologia, dalle quasi infinite ramificazioni e recriminazioni.

  • Per saperne di più sui libri Milieu, qui. Di Umberto Lucarelli abbiamo già parlato qui
  • Sei giorni troppi lunghi sarà presentato a Roma dall’autore, al Teatro di Alice il 19/3 e al Teatro San Gaspare il 20/3 (via Tor Caldara, 23)
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