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Pagani. In cammino con Walter Benjamin, il genio sulla strada del ’900

Viene subito in mente l’angelo: l’angelo che, nella nona tesi di filosofia della storia, regredisce nel futuro, lo sguardo volto al cumulo di macerie del passato, il progresso alle sue spalle che lo attrae come un’inarrestabile bufera – l’Angelus Novus di Paul Klee, ispiratore della terribile visione, acquistato nel 1921 e appeso al muro di un appartamento di Berlino, alle cui ali si lega nella memoria il prezioso libretto di Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo (Adelphi). Siamo sempre pronti a ricordare anche gli choc da incontro del flâneur che ciondola senza scopo per le vie di una grande città, valutando gente e merci, e a citare l’immensa Parigi protagonista del famoso saggio incompiuto sui passages: la metropoli è forse l‘oggetto-architrave della riflessione filosofica di Walter Benjamín. Per non dire poi dell’arte, che non è mai cambiata tanto, perdendo l’“aura” e indirizzandosi alla massa, quanto ai tempi moderni della sua possibile riproducibilità tecnica.

Con questi cliché di catechismo generazionale, viziati spesso dalla semplificazione dell’uomo e del suo pensiero, tanti anni fa, alla fine dei Settanta, avevamo posto (non solo io, in molti) Walter Benjamin in un privato Pantheon di studenti fuori corso. Benjamin, come nota Paolo Pagani nel suo In cammino con W.B. Il naufragio di un genio e le idee della sua epoca (1892-1940) – è il libro edito da Neri Pozza che stiamo sfogliando avidamente – era un “eretico comunista sui generis” e un finissimo critico della cultura dominante, e perciò ci parve un feticcio piuttosto semplice da onorare – e magari aveva ragione invece il severo germanista Cesare Cases, quando disse pressapoco che confondevamo un’Infanzia berlinese (altro titolo leggendario) e quindi la vita errante di Walter Benjamín con i magheggi di nonno Hesse o con l’utopia tossica degli hippies che per saperla più lunga assumevano il peyote – in fondo, Benjamín fumò hascish a Marsiglia…

Comunque. Questa sorta di biografia in viaggio ci invita a riaprire i (tanti e incompleti) scritti del filosofo suicida e a rifare un pezzo di strada nelle sue scarpe – impresa peraltro impossibile: nessuno è intelligente e bizzarro, colto e acuto, nessuno guarda il mondo, nell’infimo dettaglio, come Walter Benjamin, nessuno è stato un filosofo simile a lui. Per esempio: Benjamin, molto atipico successore di Nietzsche, è capace di rileggere e rendere vivo il passato partendo dal presente, perché è il presente che svela ciò che saremmo diventati, senza che allora ne fossimo consapevoli – e siamo alla sesta delle tesi sulla storia che lasciò per testamento. È un paradosso che sia stata l’intelligenza insieme a una “produttiva nevrosi”, secondo lo scostante Theodor W. Adorno, ad avergli impedito di imboccare l’unica carriera tranquilla cui poteva votarsi, quella universitaria, o di diventare semplicemente un homme de lettres.

Testo appassionato e reportage, nutrito di infinite notizie e aneddoti, il saggio di Pagani si aiuta con attualizzazioni e rimandi riusciti – per esempio, il parallelo con Antonio Gramsci – e pure con alcuni paragoni un po’ stonati (penso alle citazioni da Guccini, o all’accostamento di vecchie isole della cultura berlinesi con Capalbio), ma è in primis una vivida ricostruzione storica di un’esistenza e intanto un racconto corale. Pagani scatta una fotografia dell’intelligenza europea della prima metà del Secolo Breve in cui incontri e incroci, abbracci e agguati, amori, affetti e ripulse coinvolgono una sfilza di nomi di individui eccezionali e di imprescindibili comparse. Koestler (un testimone), Klaus Mann (il rivale), Heidegger (snobbatissimo), Scholem (l’amico), Bertolt Brecht (l’altro amico), Auerbach (un simile, esule in Turchia), e poi gli aristocratici burocrati della Scuola di Francoforte, e naturalmente Bloch e Georges Bataille, Klossowski e Hannah Arendt…

Il primo capitolo incomincia dal fondo, dalle drammatiche ore in cui Benjamin – da sempre condannato o votato a una sorta di erranza, forse perennemente beffato dall’“omino con la gobba” citato nell’Infanzia berlinese – cerca invano di lasciare la Francia per la Spagna: si uccide con delle compresse di morfina nella stanza numero 4 dell’Hotel Fonda de Francia di Portbou il 26 settembre 1940. Poi, riavvolta la pellicola, Pagani riparte dalla fastosa Berlino di fine Ottocento. In cammino con W.B. permette al nostro culto di vecchi fuori corso, indubitabili ammiratori di Walter Benjamin, di fargli riprendere il posto che merita nei nostri interessi, provando di nuovo magari più saggiamente a camminare insieme a lui. Del resto, le vie d’uscita del percorso tracciato da Pagani portano, nell’arco dei 48 anni vissuti dal “genio”, in ogni direzione e per ogni divagazione. Credo che io ripartirò dal fondo, dai concreti e mitici Passages. Scrive Pagani: “Opera-monstre, opera-mondo incompiuta ed enciclopedica («Se fosse stato portato a compimento, il Passagenwerk avrebbe rappresentato niente meno che una filosofia materiale della storia del XIX secolo», Rolf Tiedemann), impossibile da riassumere in una definizione, alla quale Walter Benjamin ha lavorato come a una cattedrale laica, mattone dopo mattone, per tredici anni. Accumulando citazioni e appunti, lasciando proliferare materiali storici, escogitando fulminanti elaborazioni teoriche, esplorando con la cavillosità di un entomologo sociale la capitale del XIX secolo, l’ombelico della modernità, la sua mappa, i suoi spazi pubblici e i suoi spazi privati. André Breton […] aveva del resto già sostenuto che «seul champ d’expérience valable», l’unico territorio nel quale fare esperienze valide, è «la rue», la strada”.

L’Angelus Novus di Paul Klee

Se c’è qualcosa di Walter Benjamín che resterà per sempre – anche divenisse un testo comprimibile in un bacio Perugina consumato in una società inumana -, sopravviveranno le sue parole sul flâneur, ovvero la più eversiva delle figure sociali: “Chi cammina a lungo per le strade senza meta viene colto da un’ebbrezza. A ogni passo l’andatura acquista una forza crescente; la seduzione dei negozi, dei bistrot, delle donne sorridenti diminuisce sempre più e sempre più irresistibile si fa, invece, il magnetismo del prossimo angolo della strada” (Passages, Appunti e materiali).

Per il secondo paragrafo consecutivo, seguendo il filosofo dell’Angelus Novus per Parigi, città in cui non a caso “il presente ha il bagliore del passato” (Siegfried Kracauer), terminiamo di scrivere questo angelico post sulla parola “strada”.

Il libro In cammino con Walter Benjamin. Il naufragio di un genio e le idee della sua epoca (1892-1940), Neri Pozza. L’autore, Paolo Pagani, ha studiato filosofia con Mario Dal Pra a Milano. Ha scritto I luoghi del pensiero (Neri Pozza 2019), Nietzsche on the road (Neri Pozza 2021) e Citofonare Hegel (Rizzoli 2022). Con lo stesso titolo ha realizzato per Chora Media un podcast filosofico in 60 episodi, giunto al terzo posto nella classifica degli ascolti in Italia.

(Credit: Walter Benjamin – Biblioteca by Helvetiafocca is licensed under CC BY-SA 4.0.)

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