La trama in sé è esile, ma di questo davvero poco ci importa, né importava a Colette, scrittrice di sopraffina grazia e ironia. Così, nelle 134 pagine di La gatta (Adelphi) apparso per la prima volta nel 1933, si svolgono i lievi accadimenti quotidiani di una giovane coppia, bella, benestante, ricca, in procinto di sposarsi.
Lui biondo, anzi, dorato, chiaro di carnagione, avvenenza di adolescente e tardivo languore, avendo qualcosa più di 20 anni. Lei, antagonista nei colori, tanto bruna quanto lui è biondo, carnale, accesa dalla voglia di vivere, programmare, arredare la nuova dimora matrimoniale, godersi la giovinezza, i piaceri decisi dell’esistenza adulta, in futuro naturalmente un bambino.
Caratteri opposti che si attraggono e si completano? Camille lo vorrebbe, innamorata e motivata, desiderosa del corpo e dell’anima di lui, Alain ci proverebbe, se solo ne avesse voglia. Un po’ ondeggia verso di lei, un po’ si ritrae trovandola troppo bruna, troppo sensuale, quasi volgare a volte, con quel collo liscio ma breve, quelle spalle che starebbero meglio esili e aggraziate anziché, come sono, sane e tornite.
E poi, c’è lei, Saha: seducente e silenziosa tanto quanto l’altra è ciarliera, elegante e sinuosa come la donna ideale vagheggiata (dapprima quasi in modo inconscio, poi sempre più consapevolmente) da Alain. Con lei Alain comunica senza bisogno di ascoltarne i discorsi, le chiacchiere, le dichiarazioni d’intenti. E la gatta, perché avrete capito di chi stiamo parlando, squisitamente felina in ogni sua movenza, è sì un animale vero, di cui Colette descrive perfettamente balzi, sguardi e miagolii (la scrittrice, che in vita amava e possedeva gatti, li conosceva bene) ma anche il simbolo di tutto ciò che Alain desidera davvero, e per sempre, cristallizzato in un eden personale: la casa della sua infanzia, il giardino, la madre amorevole, la libertà di non fare nulla che non provenga dai propri intimi sospiri e languori, l’impulso di allontanarsi, gattescamente, da ciò che risulta fastidioso (gli impegni, la voce della fidanzata e poi novella sposa, i lavori della nuova casa, persino il sesso, piacevole senza dubbio, ma quasi di routine, perché la sposina è esigente e, lei sì, sempre innamorata).
Non ci metterà molto Camille a capire che quella “adorabile” micia le è temibile rivale, che è a lei che Alain riserva i pensieri più dolci e amorevoli, che è lei la calamita verso cui lui tende, finché con un gesto, imperdonabile agli occhi del giovane marito, Camille romperà un equilibrio ormai sempre più fragile.
In questo singolare triangolo, da che parte sta Colette? Il suo stile disincantato, perfido in modo gentile, in cui ogni parola è perfettamente cesellata, ritaglia e sminuzza senza alcuna indulgenza le “figurine” di lei e di lui, e forse alle punte della sua forbice sfugge la gatta, ma neanche tanto perché di una felina insondabile e poco amichevole, se non verso il suo “amico”, come lo definisce Colette, nessuno in fondo vorrebbe davvero la compagnia.
L’esito, e il senso finale, di questo delicato e terribile duello amoroso sono tutti nell’immagine che lo conclude. Di cui nulla sveleremo, ovviamente, se non per dire come, nel 2025, ci appaiono ancora intramontate la finezza, l’arguzia e il sofisticato incanto con cui Colette crea, anima e distrugge le sue creature. Traduzione di Maurizia Balmelli.