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Allonsanfàn
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Capacità vitale di Francesca Scotti e il senso di un limite

La vita biologica prima di quella sociale ha un limite di tempo, e di quantità, che la vita sociale poi scimmiotta. Mentre cresciamo, ed entriamo nel campi del lavoro e dei sentimenti adulti, con più o meno training di corpo cuore cervello, possiamo trovarci strozzati – incapaci di respirare – anche se ci sembra di aver eseguito un allenamento impeccabile.

Forse la nostra vita va misurata sulla “capacità vitale” – in termini scientifici è “la massima quantità di aria mobilizzata in un atto respiratorio massimale” – che diviene il titolo, il leitmotiv nonché una chiave di lettura, del nuovo romanzo di Francesca Scotti; è il quarto libro, senza contare i racconti fulminanti ma non brevi di QdS (Pequod), e chi conosce la scrittrice milanese vi ritroverà l’attenzione acuminata, quasi magica, nel catturare i particolari infimi della realtà.

La “capacità vitale”, detta in senso tecnico e pure in quello comune, misura il percorso di Adele, avvocato trentenne che sceglie agli esordi della sua professione una traiettoria perversa oltre che spartana – ma forse sarebbe meglio definirla orientale, nel senso degli equilibri e delle energie recuperate al nemico in una lotta: Adele gioca spesso nei panni dell’avversario per appropriarsene, neutralizzarlo, senza doverlo combattere davvero, ed elabora un concetto di giustizia in apparenza privo di deroghe alla debolezza.

Il romanzo scritto come un domino di frasi precise e scabre, si apre sui maiali torturati nell’allevamento di due sempliciotti-agenti inconsapevoli del male. Adele li difende in tribunale per professionalità e per il puntiglio di cui si è detto. Per misurare il suo limite, il limite di vivere e di soffrire, cui è sottintesa dall’autrice la possibilità di abbandonare i traumi e le utopie dell’adolescenza.

Prosegue, il romanzo, con un incidente subacqueo durante l’unica libertà e quindi l’unica debolezza che si concede Adele. Una vacanza con gli amici dedicata alle immersioni. L’incidente fa trovare Adele sola ma legata ai sopravvissuti. Un uomo e una ragazzina. La seconda parte del libro è quindi meno controllata, meno scientifica, e si apre a poco a poco a eventualità dell’anima, che paiono trascendere la nozione della “capacità vitale”, ma in realtà la completano, spesso in modo imprevisto per il lettore.

Pure la scrittura si apre, si smonta e si ricostruisce di nuovo senza cliché, priva di strascichi retorici o di vezzi minimalisti: ancora più nuda e precisa, registra e si registra sulle mutazioni interiori della protagonista. Adele, l’avvocato, la ragazza delle immersioni, cambia, e il romanzo di questo cambiamento si legge – sia perdonata la battuta – davvero d’un fiato.

IL LIBRO Francesca Scotti, Capacità vitale, Bompiani

Foto: Michela Chimenti
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