UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Desiderio di Montefoschi è un romanzo sempre più essenziale

In un’antologia storica sul romanzo italiano degli anni Settanta, Il piacere della letteratura (Feltrinelli 1981), Angelo Guglielmi ficcava il giovane Giorgio Montefoschi de L’amore borghese (Rizzoli 1978) tra gli “aeiouisti” e i presottisti – termine quest’ultimo ricavato da Lina Presotto, la domestica di Savinio che per darsi un tono al telefono invece di dire “aspetti” rispondeva “attenda”.

Sono passati gli anni, Giorgio Montefoschi (1946) è invecchiato, e non si merita più – neanche se fosse stata giustificata – una simile etichetta. Primo: ha da tempo scheletrito la prosa e la trama dei suoi romanzi, secondo: scrive sempre, affinandolo, un identico libro.

Forse il Montefoschi di una volta, per esempio quello già maturo de La felicità coniugale (Rizzoli 1982), poteva apparire lento e compiaciuto perché, nonostante chiudesse già molto l’inquadratura sulle strade romane, citate con fede quasi proustiana nei nomi, ancora non aveva scarnificato il suo linguaggio ed estremizzato le sue ellissi jamesiane.

In Desiderio (La Nave di Teseo 2020), che arriva dopo Il corpo (Mondadori 2017), resa alla malattia e alla mortalità di due fratelli, Montefoschi ricomincia un’altra volta da capo come se niente fosse.

A Roma nel 1962, dalle sue parti, tra i Prati e i Parioli bianchi e ocra, assordati dalle cicale, famiglie borghesi diverse per abitudini e lessico hanno partorito figli assennati e solo un po’ ansiosi di crescere. Montefoschi li coglie, nella prima parte del romanzo, alla resa dei conti degli esami estivi e di vacanze-fuga continuamente riprogettate.

Matteo Gennari, il più sensibile, l’eroe borghese di tanti romanzi precedenti, cui tocca il punto di vista, s’innamora di Livia Ceriani, selvatica negli affetti e con vocazione a sparire: la sfiora, anzi di più, e lascia ad ardere sotto la cenere un desiderio che – scrivendo Montefoschi sempre lo stesso libro – sappiamo già che durerà, se dura poco, dei decenni. E infatti: nella seconda delle tre parti del libro siamo nel 1987 e nella terza nel 2002…

Ma leggete pure da voi, mentre noi applaudiamo. Montefoschi, per tornare alla raffinazione continua e persino esagerata dei suoi talenti – che lo porta spesso a semplici flash di dialogo e lunghi elenchi di vie e luoghi romani -, posiziona sempre meglio un accessorio pluricitato nei suoi romanzi, il “lumetto” da comodino con cui gestisce da maestro il confine tra la luce e il buio della sua storia, fino a un abbraccio che sembra quello di due pugili in clinch.

A margine I lettori vedranno ricomparire, come già accaduto, un Bellentani, Leone, il cui triangolo d’amore con Sofia e Sandra Ballio era al centro de Lo sguardo del cacciatore (Rizzoli 1987), annunciato da una cover di Bonnard con cui avremmo illustrato anche questo più essenziale Desiderio.

IL LIBRO Giorgio Montefoschi, Desiderio, La Nave di Teseo
I social: