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Allonsanfàn
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Primo Levi in rock con Peter Hammill e i Manic Street Preachers

Tra gli omaggi a Primo Levi, scomparso l’11 aprile del 1987, mi torna in mente un pezzo (quasi) prog rock. Peter Hammill, the Thin Man dei VDGG, in The Noise (1992) incise una canzone intitolata Primo on the Parapet, molto intensa, pur se piuttosto convenzionale, con almeno una linea di versi memorabile: The blindest eye is turned on the beast we clothe… La mise in coda all’album.

Per farvi un’idea di Primo sulla ringhiera, c’è una buona versione italiana su Fuoriregistro. Ora mi basta citare:

L’occhio più cieco è rivolto verso la bestia che noi rivestiamo,
grigia nell’uniforme di silenziosa acquiescenza

Farò questo brindisi per Primo, che si è arrampicato e ha scavalcato la ringhiera
Con una parola ultima di monito:
dobbiamo imparare a non dimenticare

Nonostante la verbosità di solito incantevole e il talento visuale del poeta dei Van der Graaf, trovo una stonatura in una certa semplificazione (romantica) della vicenda e forse anche nell’eccessivo cameratismo di quel “Here’s a toast to Primo”… Potete ascoltare la canzone qui.

Ha altre modalità eppure nasconde un peccato di fondo simile a quello di Hammill, l’omaggio a Levi dei gallesi Manic Street Preachers: erano al secondo album, Gold Against the Soul (1993), e nel line-up originale – il chitarrista Richey James Edwards non era ancora scomparso nel nulla, presumibilmente suicida (venne dichiarato morto solo nel 2008).

All’interno della copertina, i MSP stamparono Canto dei morti invano, poesia invettiva di Levi, che compare nell’edizione accresciuta di Ad ora incerta (Garzanti). La band ritardò addirittura di un mese la pubblicazione dell’album per acquisirne i diritti, ed esibì la poesia sulle T-shirt del tour. Se siete dei fans (dei Manic? Di Levi?) le potete rintracciare a caro prezzo su eBay.

Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L’esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino,
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima…
Gl’innocenti straziati a Bologna.

L’idea di fondo dei MSP, e di Edwards in particolare che ne era la guida letteraria: “Levi survived the Holocaust, only to have his suicide prove, many years later, that he had done no such thing” (fonte: Nailed to History: the Story of MSP di Martin Power). Ci muoviamo anche qui sul terreno di una ricostruzione a un tempo simbolica e schematica dei fatti e forse per questo tuttora così diffusa.

Senza star troppo a ri-citare Adorno, i campi di lavoro, le mitologie del rock, conviene tornare alla fonte. Ne I sommersi e i salvati (Einaudi, 1986), Primo Levi indicava la “…spaccatura che esiste, e che si va allargando… fra le cose com’erano ‘laggiù’ e le cose quali vengono rappresentate dalla immaginazione corrente, alimentata da libri, film e miti approssimativi”. Significativamente il capitolo si intitola Stereotipi e forse sugli stereotipi siamo stati tentati, spesso con le migliori intenzioni, di modellare anche la sua storia personale.

A margine Trascuriamo volentieri il rozzo testo dei post punk Lack che nel 2005 in Primo Levi cantarono I hope I die before the day/When I have to give up… Chi vuole può trovare su YouTube un live da Vilnius.

L’ultima settimana della vita dello scrittore torinese è ricostruita accuratamente in Primo Levi. Una vita (Utet, 2002) di Ian Thomson.

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