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Snowpiercer, il serial. Su Netflix, il treno bucaneve di Bong Joon-ho

Snowpiercer è prima di tutto un disegno, quello del fumetto bucaneve francese del 1983 di Jacques Lob e Jean-Marc Rochette, una saga in tre episodi; diventa nel 2014 il più costoso film coreano, firmato dal futuro Oscar winner Bong Joon-ho; e ora, il lungo treno (1.001 vagoni) – Arca in perenne corsa, che accoglie l’umanità sopravvissuta alla glaciazione (siamo a -117), percorre un serial Netflix, prodotto dal regista di Parasite

La distopia immaginifica, veicolata dallo spettacolare mezzo di locomozione, poggia su un feroce distanziamento sociale: partendo dalla coda, che ospita gli ultimi del mondo (sopravvivono mangiando scarafaggi), si sale progressivamente di status, di vagone in vagone, fino alle lussuose vetture di testa, dove regna Noè – Mr Wilford. Nel Fondo, l’estrema carrozza, si progetta la rivoluzione, mentre Layton – unico ex poliziotto a bordo – viene prelevato dalla sua condizione miserabile per far luce su una catena di omicidi. 

Il film di Joon-ho partiva come un classico prison break e viveva su un’ingegnosa costruzione a videogame: ogni carrozza era un livello da superare, oltre a rappresentare una sorta di memento del mondo estinto.
Nel serial in 10 episodi, oltre a uno spostamento temporale rispetto alla glaciazione – ci troviamo dopo il fumetto e in posizione di prequel rispetto al film – si prende decisi la via del thriller con omicidio seriale.

Jennifer Connelly è la misteriosa portavoce di Mr Wilford – con più evidente lato umano i piedi provati dai tacchi alti – il rapper Daveed Diggs è il coriaceo Layton, veglia sulla serie il dominus cioè lo showrunner Graeme Manson. 

Diggs e Connelly

La prima puntata si preoccupa soprattutto di conferire carisma alla Connelly (un po’ ghiacciata come il tempo fuori, un po’ Mary Poppins), di inserire Diggs nel cliché dei detective riluttanti, e ha il clou drammatico nel fondo del Fondo, durante un funereo compleanno accompagnato da un toccante Rachmaninoff (quello copiato in All by myself). Già dalla seconda, si capisce che non verrà tradito uno dei temi peculiari del film di Joon-ho, vale a dire quello del corpo umano inteso come valore economico base (punizioni, squartamenti, lo spettro del cannibalismo). Si vede tutto volentieri con qualche apprensione.

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