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Olivia de Havilland, la diva tenace che sarà per sempre miss Melania

Nella storia del cinema ci sono alcuni attori il cui nome finisce per essere indissolubilmente legato a quello di un personaggio che hanno interpretato. Per questo Olivia de Havilland sarà per sempre miss Melania.

Dalla sua casa vicino al Bois de Boulogne sapeva che i coccodrilli dei giornali erano già pronti con titoli come “La morte di Melania”. Olivia, scomparsa domenica 26 luglio, a 104 anni, era una donna intelligente e aveva accettato questo da tempo.

Probabilmente l’ha anche voluto, dal momento che quando tutte le attrici della sua generazione si sono fatte avanti per avere il ruolo di Rossella, lei ha tenacemente voluto la parte di Melania. E non è stato facile, perché Jack Warner, che aveva Olivia sotto contratto, non la voleva “cedere” a Selznick, ma l’attrice ha trovato un’alleata nella moglie del produttore, un’ammiratrice del romanzo di Margaret Mitchell, che voleva che quel film fosse perfetto. E sapeva che Olivia sarebbe stata la miglior Melania possibile. E aveva assolutamente ragione. Perché Olivia ha la stessa determinazione di Melania, lo stesso coraggio. E credo anche che Olivia abbia capito che era giusto che l’Oscar per la miglior attrice non protagonista venisse assegnato non a lei, ma a Hattie McDaniel.

Ha probabilmente condiviso quella decisione che premiava non solo una brava attrice, ma dava un riconoscimento a una parte così importante dello spettacolo, e della società, di quello che stava per diventare il suo nuovo paese. Semmai la sconfitta che proprio non ha sopportato è stata quella del ’42, quando per quella stessa categoria erano in lizza sia lei, per il film La porta d’oro, che sua sorella Joan Fontaine, per Il sospetto di Alfred Hitchcock. Essere superata dalla sorella minore è stata una cosa che non ha accettato. E, nonostante qualche tardivo tentativo di riappacificazione, i rapporti tra le due sorelle, che erano anche due star, è sempre stato pessimo.

La vita di Olivia è in qualche modo la trama di un film. È nata il 1 luglio 1916 a Tokyo, figlia di due inglesi, un avvocato specializzato in brevetti e un’attrice teatrale. Tre anni dopo Lilian convince Walter a tornare nel loro paese, per curare le bambine cagionevoli a causa del clima giapponese. Il vero motivo è che Lilian spera che, tornando in Inghilterra, il marito dimentichi l’altra famiglia, quella giapponese, che questo novello Pinkerton mantiene.

Comincia il viaggio, la cui prima tappa è San Francisco. Olivia ha la tonsillite, sembra che il caldo della California le faccia bene, pensano di fermarsi lì per un po’, ma Walter torna in Giappone e così Lilian decide che lei e le bambine non proseguiranno il loro viaggio verso l’Inghilterra, trasferendosi a Saratoga.

Olivia è una brava studentessa, ed eccelle negli spettacoli organizzati dalla scuola. C’è una foto in cui a diciassette anni interpreta Alice in una recita della compagnia dei Saratoga Community Players: gli occhi sono già quelli della star. Ma quando al liceo le viene affidato il ruolo di Elizabeth in una riduzione teatrale di Orgoglio e pregiudizio, il patrigno le impone di lasciare lo spettacolo: quello non è un “mestiere” che si confà a una ragazza di buona famiglia. A Olivia non interessa fare l’attrice, ma non vuole deludere le sue compagne e chi l’ha scelta per quel ruolo, soprattutto non vuole che qualcun altro pretenda di decidere per lei: e quindi va via di casa.

Poi si iscrive al college, perché vuole diventare un’insegnante di letteratura inglese, ma accetta anche la parte di Puck nel Sogno di una notte di mezza estate che i suoi amici di Saratoga stanno allestendo nell’estate del 1934. Anche il grande regista austriaco Max Reinhardt è in California in quegli stessi mesi: è uno dei tanti artisti che, fuggiti dall’Europa fascista, faranno grande il teatro e il cinema americani. Anche lui sta allestendo il Sogno e una sua collaboratrice nota Olivia, a cui viene assegnato il ruolo di Ermia nel secondo cast. Ma la titolare è costretta a rinunciare e quella ragazza inglese trapiantata a Saratoga illumina con la sua interpretazione lo spettacolo.

Quando la Warner affida a Reinhardt e a William Dieterle la regia del film tratto dalla commedia di Shakespeare, non ci sono dubbi sulla scelta dell’attrice che dovrà interpretare Ermia: Olivia de Havilland è messa sotto contratto con uno stipendio di 200 dollari a settimana. Quel film lancia altri due giovani attori destinati a grande fortuna nell’età d’oro di Hollywood: James Cagney è Bottom, mentre Puck è interpretato da Mickey Rooney. Dieterle racconta che Olivia gli chiede continuamente informazioni sugli aspetti tecnici della fotografia, sulle luci, sulle tecniche di registrazione. Alla fine delle riprese l’autodidatta Olivia, che non ha mai seguito un corso di recitazione, è già esperta nel sapere come muoversi per avere la migliore illuminazione possibile.

Olivia è una promessa e per la Warner un investimento che si rivela particolarmente redditizio: è l’eroina perfetta da affiancare a Errol Flynn. Insieme reciteranno in otto film, tra cui Capitan Blood La leggenda di Robin Hood. E in entrambi questi film il “cattivo” è il grande Basil Rathborne. La coppia funziona: lui spavaldo e generoso, lei bella e coraggiosa. Sia Arabella che lady Mariam sono donne che sanno benissimo cosa vogliono, tenaci, disposte a lottare: un ruolo che piace a Olivia, anche se la Warner crede che lei, con quei grandi occhi scuri e quell’aria dolce, debba essere piuttosto il tipo dell’ingenua, quella che aspetta l’eroe che risolve tutto. Olivia però non è dello stesso parere.

La sezione 2855 del Codice civile della California sanciva la possibilità di stipulare contratti in cui il datore di lavoro poteva inserire una clausola che prevedeva un diritto esclusivo sulle prestazioni dell’altro contraente, per un massimo di due anni. Naturalmente questa clausola veniva particolarmente applicata nell’industria cinematografica.

Gli studios la imponevano sia agli attori emergenti che alle grandi star: mentre erano sotto contratto con loro non potevano lavorare con la concorrenza. Nel 1931, grazie a un efficace lavoro di lobby, hanno fatto in modo di portare il limite a sette anni, rafforzando così il proprio potere su tutti quelli che lavoravano nel mondo del cinema.

Negli anni successivi gli avvocati delle grandi case di produzione sono poi riusciti a far passare un’interpretazione di questa norma secondo cui i sette anni dovevano essere calcolati solo sui giorni di lavoro effettivo, su quelli in cui gli attori giravano. In pratica se tra un film e l’altro passava anche un anno di tempo, quel periodo non veniva conteggiato per raggiungere i sette anni, eppure in quei dodici mesi un attore non poteva lavorare per un’altra casa di produzione. E in questo modo il contratto di esclusiva poteva durare ben più dei sette anni previsti.

Questa norma impediva a Olivia di lavorare perché la Warner Brothers con cui era sotto contratto dal 5 maggio 1936 continuava a proporle parti di cui si era stancata: Jack Warner preferiva non farla lavorare piuttosto che lasciarla andare in un altro dei grandi studios, non voleva ripetere quello che era successo con Via col vento. Ma, come abbiamo visto, Olivia non è una donna che è disposta a subire quello che altri vogliono decidere per lei. Il 23 agosto 1943 decide di intentare una causa contro la Warner sostenendo che, essendo trascorsi ormai sette anni, era libera di trovare un altro ingaggio.

La causa dura più di un anno, possiamo supporre che Warner e i suoi colleghi abbiano cercato di influenzare il collegio dei giudici, ma l’8 dicembre 1944 il giudice Clemente Lawrence e i suoi due colleghi stabiliscono che i sette anni devono essere calcolati secondo il senso comune, ossia come facciamo tutti noi, con tutti i giorni del calendario, compresi soprattutto i giorni in cui un attore non viene chiamato a lavorare.

Quella sentenza è passata alla storia del diritto del lavoro come legge De Havilland, anche se il cancelliere, che evidentemente non era un appassionato di cinema, ha scritto nella sentenza De Haviland, sbagliando il cognome dell’attrice. La legge De Havilland è stata una grande vittoria per gli artisti contro gli studios, che ha dato a loro maggior libertà. Nonostante i tentativi di Jack Warner di fare terra bruciata attorno a Olivia, l’attrice ottiene un nuovo contratto con la Paramount. Comincia una nuova fase della sua carriera, in cui può scegliere i film e dimostrare quello che vale.

Nella seconda metà degli anni Quaranta dimostra tutto il suo valore in alcuni film di cui è l’assoluta protagonista. È la donna che diventa madre senza essere sposata ed è costretta a dare in adozione il proprio figlio, lottando tutta la vita contro questa ingiustizia, nel film di Mitchell Leinsen A ciascuno il suo destino; un ruolo per cui vince finalmente l’Oscar.

Interpreta le due gemelle, la “buona” e la “cattiva”, nel classico noir Lo specchio scuro di Robert Siodmak. È una donna ricoverata in un ospedale psichiatrico senza saperne la ragione e senza ricordare nulla della propria identità in La fossa dei serpenti di Anatole Litvak, un film che ha avuto un forte impatto, grazie anche all’interpretazione così realistica di Olivia, e che ha spinto diversi stati americani a modificare la propria legislazione sui manicomi. E per questo film ha avuto la Coppa Volpi al Festival di Venezia.

Ottiene il suo secondo Oscar con la sua interpretazione nel film L’ereditiera di William Wyler, in cui è una donna corteggiata per i suoi soldi da un giovane approfittatore, che nel film è Montgomery Clift, e in conflitto con il padre, il grande attore inglese Ralph Richardson, che la mortifica in ogni occasione per difendere quella stessa eredità. Olivia de Havilland ormai non è più la ragazza ingenua che aspetta il principe azzurro. Né l’eroina dei film in costume con Errol Flynn, è un’attrice che dimostra che una donna può lottare, può uccidere persino, e alla fine può vincere. Da sola.

Fa una bella carriera Olivia, che torna anche al teatro – interpreta un’altra forte eroina shakespeariana, Giulietta – e si prende anche la soddisfazione di vincere un Golden globe per la sua apparizione in una serie televisiva nel ruolo della madre di Nicola II.

Non vuole essere una star, non vuole accettare la comodità di un cliché che le avrebbe assicurato certamente una fama maggiore di quella che ha avuto, vuole interpretare una donna diversa da quella che gli studios preferiscono raccontare. E spesso ancora il cinema, non solo americano, racconta. Perché Olivia non è solo miss Melania.

  • Dietro il nome di Πρωταγόρας si nasconde, anzi no, si illumina il talento di Luca Billi. Trovate un intero vocabolario delle sue storie qui
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