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Allonsanfàn
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Leggere. Ripensando il lockdown con Il veliero sul tetto di Rumiz

Un libro slow. Lento, come possono essere settantadue notti in preda alla febbre da lockdown. Notti che provocano tremende mareggiate a ogni risveglio mattutino.

A scuola ci hanno insegnato che la regola d’oro per capire è saper ascoltare chi ti parla. Ma quando è impossibile farlo, chi e cosa prenderà il posto della parola? Il silenzio. Lo si fa bastare, ugualmente. Perché anch’esso è misura, azione, gioco. Destinatario e interlocutore sei sempre tu.

Mentre fuori dalla tua abitazione, come contrappasso al panico, le strade si spopolano e le piazze si svuotano, la macchina dei reticolati e dei confini si rimette in moto. Ascolti i cigolii di scenari che si blindano, mentre il convoglio della vita si ferma.

Vivere a sbalzi tra l’ottimismo e il catastrofismo caotico e iperattivo ci fa riconsiderare gli spazi domestici. I balconi diventano nuove piazze pensili mentre dall’inconscio partono voglie smodate per riempire i vuoti con cioccolato, pizza e vino.

Si comincia a ragionare di bene comune, di solidarietà, di amore, di tenerezza. “Io resto a casa” diventa un comandamento plurale. Al diavolo il PIL, gli asparagi, le fragole, i kiwi che marciranno a terra. Da Trieste a Reggio, che non ha certo tradizioni asburgiche, la gente riga dritto. L’emergenza svela una umanità diversa: o uomini o conigli.

Chiudere la porta in un ospedale è angosciante. Monitor, citofono, visiera, mascherina diventano parametri vitali per una vita da riacciuffare. Si muore prima di morire. Si muore vivendo. Da soli come gli annegati.

Il silenzio permette di analizzare le falle umane: stress, solitudini, la parte eroica e i buchi nell’organizzazione. Le giornate diventano bollettini di guerra. Le settimane tendenze, curve e segni. Infuriano le previsioni. Anche i gabbiani se ne sono accorti. Il cibo facile della movida non c’è più. Sbranano i piccioni vivi. Si agitano istinti primordiali. La povertà fa da innesco. La gravidanza, la nascita, la morte rimangono nella sfera privata. Tutto avviene in solitudine.

Carogna-virus? No. È la febbre che ci avverte che la terra è allo stremo: pandemia, riscaldamento globale, inquinamento, sfruttamento risorse, migrazioni. La malattia produce disuguaglianze. L’epidemia dualismi: comunità-privazione, stato di polizia-democrazia, abbuffate-frugalità. Ci salva la bora: miagola. Ai pensieri infagottati.

Sta barricato in casa, Paolo Rumiz a Trieste. In un appartamento-veliero, vicino al molo per osservare meglio il Mediterraneo, le terre del tramonto e le terre della rinascita.

Sale all’alba e verso sera sul tetto del condominio, attraverso la botola del cuore. I confini mettono voglia di partire e scansionano e fanno fretta al tempo. Passando dall’ora del caffè all’ora dello scrivere. Dall’ora della ginnastica al tempo per cucinare. In un minuto. Per regolare subito di nuovo la navigazione a venti nodi.

Un appartamento che si trasforma continuamente nella plancia di un veliero, che attraversa terre inesplorate dell’io, disegnando nuove frontiere. Riscoprendo silenzi, celebrando letizia, navigando i mari del dormiveglia, del buio, della luce, del profondo inconscio. Irreperibili e corsari. Mai più la vita di prima.

IL LIBRO Paolo Rumiz, Il veliero sul tetto. Appunti per una clausura (Feltrinelli)

  • Giuliano Belloni, laureato in filosofia, è scrittore e poeta
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