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Allonsanfàn
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Mondo pop. Oltre le cover: quando i plagi si chiamano remake

Nell’estate delle cover maledette (da pubblico e critica), esempio Biagio Antonacci che si mette nei panni di Franco Battiato, si insinuano a ogni ascolto radiofonico nuovi dubbi sulla creatività individuale – e sullo stato di astuta omologazione che vige nel mondo pop.

L’altro giorno, per esempio, ho sentito un motivetto familiare: «Informer, ya’ no say daddy me Snow me I go blame…»; manca il tipico tum-patumpa del reggaeton, ma la riconosco subito: è Con calma di Daddy Yankee! Di plagio non si può parlare, perché è chiaramente la stessa canzone (senza contare che pure Snow, autore dell’originale, canta qualche strofa), ma per essere una cover di un brano del 1992, al nuovo reggaeton del 2019 non è andata affatto male, tra dischi d’oro, di diamante e addirittura di platino. C’è da dire che Daddy Yankee è furbo, ha dichiarato che Informer era «una delle sue canzoni preferite» quando era un adolescente e ha inserito Snow nel disco in modo da avere il benestare dell’autore stesso. Mica scemo.

Oggi riaccendo la radio in uno dei numerosi momenti che in questo periodo mi tocca passare in macchina, e di nuovo la stessa sensazione di deja-entendu: «Some say you will love me one day…»; la mia mente vola alle festine degli anni 2000, in cui ragazzini in preadolescenza (e piena puzzolenza) fingevano di essere grandi, si rinchiudevano in una qualche stanza di patronato e giocavano al gioco della forbice (ovvero della bottiglia, ma con una forbice al centro): questa è chiaramente Blue (dabadì, dabadà) dei nostri italianissimi Eiffel 65! La voce mezza sussurrata che ci accompagna nell’ascolto e ci immerge in un’atmosfera da cocktail bar appartiene a Nea, una cantautrice svedese nata in Sudafrica. Anche in questo caso, niente plagio: il brano si “ispira” dichiaratamente (leggi: copia) al successo degli anni ’90. Tutto regolare, dunque.

Il dubbio è: si può davvero parlare di ispirazioni, cover, eccetera, quando i brani non fanno altro che scopiazzare un vecchio (in)successo, magari un po’ dimenticato, utilizzandolo al posto di comporre nuove melodie?

Trovo triste e avvilente che nel panorama musicale internazionale spuntino sempre più come funghi questi cosiddetti remake che, sfruttando il fatto che gli originali sono spesso sconosciuti al pubblico più giovane, hanno un successo planetario senza il minimo sforzo (o con uno sforzo minimo). Insomma, Elton John o Michael Jackson, per fare due esempi qualunque di artisti veri, non hanno mai avuto bisogno di copiare (pardòn, ispirarsi a) nessuno (lasciando perdere i Cigni di Al Bano). O sbaglio?

Concludo con due plagi veri e propri.

La prima, una scopiazzatura mai dichiarata, anche se non sfuggita all’attento popolo del web, che ha davvero dell’incredibile: quella di Irama ai “danni” (se mai gliene potrà fregare qualcosa) di Ed Sheeran. Il famoso brano del piumato dalle sillabe spezzate, Che vuoi che si-a, è infatti identico a Supermarket flowers di Ed Sheeran: stessi accordi, stessa melodia, stesso tutto, tanto che due ragazze su Youtube hanno fatto un mashup cantando l’uno o l’altro brano sugli stessi accordi.

La seconda, quella di un gruppo che non avrebbe dovuto aver bisogno di sotterfugi per produrre grandi successi: The Cranberries, la cui Just my imagination ricorda davvero troppo un brano del 1983 del gruppo britannico Madness, intitolato Our House. Aprire Youtube per credere (o leggere questo pezzo della BBC, che all’epoca aveva denunciato la somiglianza).

Ma insomma, dobbiamo insegnarvi tutto? Bastava dichiarare che Ed Sheeran/i Madness erano dei vostri idoli di gioventù e che vi eravate ispirati a loro per comporre un nuovo, originalissimo brano.

Nella foto: Daddy Yankee  (“DADDY YANKEE” by Roberto Ferló)

 

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