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Tradurre mondi. Intervista a Laura Testaverde su Hirano Keiichiro e i japan lovers

Come vuoi amare? Nella coppia sei l’attore protagonista o non protagonista? Come vuoi guardare ai tuoi ricordi? Vuoi lasciarli nel passato o scoprire, all’improvviso, che ciò che è accaduto nel futuro li ha modificati, riconfigurati, ribaltati?

Se credete che leggere un romanzo giapponese sia un’esperienza come tante, lasciate perdere. I japan lovers sanno di cosa stiamo parlando: bisogna prepararsi a un’immersione nel profondo, sapere che alcune pagine cominceranno a parlarti con sommessa dolcezza e non ti lasceranno più.

Dopo lo spettacolo di Hirano Keiichiro è un romanzo così. Lo scrittore, che ha vinto l’Akutagawa, il più prestigioso premio letterario giapponese a soli 23 anni e oggi ne ha 45, vantando una produzione vivacissima, è stato accostato spesso a Mishima, per la preziosità dello stile. E mentre Lindau, il suo editore italiano, si prepara a far uscire un nuovo romanzo nel 2021, noi abbiamo raggiunto la sua traduttrice, Laura Testaverde (che risiede a Tōkyō ed è una profonda conoscitrice della lingua e della cultura giapponese), per farci raccontare del suo incontro con questa meravigliosa scrittura e sulla letteratura giapponese in generale.

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Laura Testaverde

Un elemento che colpisce degli autori giapponesi è la loro capacità di essere universali, di parlare all’essere umano a prescindere da cultura e nazionalità. Come riescono ad avere un respiro così ampio?

«Il panorama editoriale giapponese è molto ricco, e credo che comprenda molte opere profondamente legate al Giappone e al pubblico giapponese. È vero che dal periodo della cosiddetta modernizzazione, alla fine dell’Ottocento, il Giappone ha rivolto la propria attenzione alle culture straniere e che, ai nostri giorni, già dalla scuola in media uno studente giapponese ha una buona conoscenza generale della storia, della filosofia o dell’arte dei Paesi euroamericani, mentre temo che non si possa dire il contrario. Tra gli scrittori giapponesi alcuni (e non solo Hirano) posseggono la capacità di parlare a chiunque in base alla comune appartenenza al genere umano, ma hanno anche approfondito quella visione internazionale, attraverso un’assidua frequentazione con culture altre, dalla quale le loro opere traggono ampio respiro. Hanno, a mio avviso, il vantaggio di un punto di vista pur sempre legato e ispirato alla cultura cui appartengono, con le sue basi di pensiero radicate nei sistemi filosofici dell’Asia orientale».

Dopo lo spettacolo

Leggere Dopo lo spettacolo è un’esperienza speciale, perché il libro sembra avere più livelli, più strati, e mostra la sconfinata cultura dell’autore. Come è stata la sua esperienza di traduzione?

«È stata molto arricchente e ha richiesto un grande impegno. Documentarmi sui temi trattati, spaziando dalla poesia alla musica classica, all’economia, alla politica, alla teologia, e cercare di riprodurre in italiano il linguaggio ricercato eppure accessibile con cui Hirano ne parla, ha richiesto più tempo e uno sforzo maggiore rispetto alla maggior parte delle traduzioni che ho fatto finora. Anche la revisione è stata lunga e laboriosa (e ringrazio Paola Quarantelli di Lindau per la pazienza e la grande cura che ha dedicato al lavoro). Mentre limavamo il testo, ho avuto modo di rendermi ancor meglio conto della particolarità cui lei accenna nella sua domanda: avrei potuto rileggerlo ancora e ancora, senza mai stancarmene, scoprendo ogni volta un romanzo diverso, un ulteriore livello di lettura».

keiichiro hirano
Keiichiro Hirano

Ha completato la traduzione di Racconto di una luna, un altro romanzo di Hirano in uscita in Italia a marzo 2021. Cosa dobbiamo aspettarci da questo libro?

Rispetto a Dopo lo spettacolo, che è ambientato ai nostri giorni, il panorama cambia completamente, perché con Racconto di una luna Hirano ci porta nel Giappone di fine Ottocento. Il protagonista, un giovane poeta, lascia la vivace capitale animata dal fermento della modernizzazione per un viaggio senza meta che lo porterà in una delle aree più ricche di tradizione e più mistiche del Paese. Dopo lo spettacolo è recente (2018), mentre Racconto di una luna è la seconda opera che Hirano ha pubblicato, e risale al 1999. In un modo diverso, anche qui la narrazione è ricca e passibile di più letture e interpretazioni. C’è molto della tradizione letteraria giapponese, e persino un dichiarato omaggio a Mishima, cui Hirano è stato paragonato sin dalla sua opera d’esordio, Eclissi, il romanzo che gli valse il premio Akutagawa nel 1999. In Racconto di una luna, il protagonista, Masaki, appare quasi personificare l’incontro senza dubbio fruttuoso, ma inevitabilmente traumatico e conflittuale, tra l’intellighenzia giapponese e il resto del mondo, da cui il Giappone era rimasto fondamentalmente isolato fino a quel momento».

Pensa che esista un legame, un’affinità, tra la cultura giapponese e quella italiana?

«Italia e Giappone si assomigliano fisicamente: si allungano nel mare, con cui hanno un rapporto molto stretto, attraversando diverse zone climatiche, entrambi soggetti a rischio sismico, con un territorio in buona percentuale montuoso e con vulcani ancora attivi. Dal punto di vista storico, Richard Samuels, in Machiavelli’s Children – Leaders and their Legacies in Italy and Japan (2003), individua una sincronia, a partire dalla metà dell’Ottocento, quando i due Paesi si trovano entrambi ad affrontare lo sforzo di un rapido sviluppo economico e sociale, per posizionarsi in modo favorevole sullo scacchiere internazionale in rapida evoluzione. Ma se mi chiede in che cosa tutto questo ci rende simili, devo ammettere che non saprei indicare un aspetto preciso. Potrei dire che le nostre cucine si assomigliano nella semplicità e nell’esaltazione del gusto originale degli ingredienti, ma la cucina giapponese non è solo sushi, e quella italiana non è solo spaghetti al pomodoro. Potrei paragonare l’Opera al teatro Nō o al Kabuki, per l’importanza che rivestono in essi il canto e la musica, ma in realtà sono forme teatrali con un’origine e un posto nelle culture dei rispettivi Paesi molto diversi. Alcuni vedono una certa vicinanza nella cura, nella ricercatezza, nella raffinatezza della produzione artistica e artigianale in Giappone come in Italia, ma anche lì bisognerebbe fare dei distinguo, e suppongo che altri Paesi potrebbero rivendicare simili caratteristiche. Insomma, immagino che sia sempre possibile trovare affinità tra due culture, ma che si tratti comunque di discorsi relativi. Personalmente trovo più affascinanti le differenze».

Il giorno in cui hanno assegnato il Premio Nobel alla Letteratura, c’era un trend su Twitter dedicato a Murakami. È stata di nuovo fumata nera. Pensa che lo riceverà, prima o poi?

«Ovviamente ritengo che la letteratura di Murakami Haruki meriti di essere premiata, non fosse altro che per l’apprezzamento di cui gode nel mondo intero. Temo solo che se ne sia parlato troppo, il che potrebbe rivelarsi controproducente, a dispetto di tutte le buone intenzioni di chi ripropone l’argomento ogni anno e di chi addirittura pubblica ogni giorno sulla versione inglese del quotidiano Asahi una rubrica in cui si parla di Murakami e delle sue opere, spesso tirando in ballo l’argomento della sua candidatura al Nobel».

Mi pare di cogliere molta passione, tra i lettori italiani, per gli autori giapponesi e per la cultura giapponese in generale: Einaudi ha appena pubblicato Tokyo tutto l’anno, di Laura Imai Messina, che ha recensioni appassionate su Amazon. Cosa cercano, a suo avviso, i japan lovers?

«Di Laura Imai Messina mi è piaciuto molto Non oso dire la gioia, a cominciare dal titolo. Non ho ancora letto Tokyo tutto l’anno, ma lo farò, perché so che questa scrittrice sa raccontare e sa bene di cosa parla quando racconta Tōkyō e il Giappone. E poi non mi perderei mai le illustrazioni di Igort. Ormai più di trent’anni fa, quando ho deciso di studiare giapponese, la mia aspirazione era conoscere un mondo fisicamente e culturalmente molto lontano dal mio. Cercare di capire ciò che era distante da me mi avrebbe aiutato, nella mia intenzione, ad acquisire punti di vista diversi, ad aprire la mente e, quindi, a leggere non voglio dire meglio, ma senza dubbio con più elasticità anche la realtà a me vicina. Molti, sempre di più già a partire dalla mia generazione, hanno conosciuto il Giappone anche tramite manga e anime, e ne hanno quindi un’immagine forse più chiara di quella che se ne aveva un tempo. Ora si sa dei fiori di ciliegio, del foliage autunnale, dei kimono, della cerimonia del tè, dell’ikebana, dell’architettura tradizionale e delle città modernissime, di una popolazione che dà esempio di rispetto reciproco, solidarietà e resilienza… Ovviamente il Giappone è questo e molto altro che si può assaporare, a maggior ragione, attraverso buone letture».

Posso chiederle allora qual è il romanzo giapponese che ama di più? E quali autori consiglierebbe a chi vuole iniziare a scoprire questa cultura?

«Il romanzo che ha suscitato in me il desiderio di capire il Giappone è stato Mille gru di Kawabata e mi pare che trasmetta perfettamente il fascino di atmosfere, ambienti e visioni estetiche tipici della tradizione giapponese. Il che vale anche per Guanciale d’erba o Anima (tradotto anche L’anima delle cose) di Natsume Sōseki: mi sembrano opere esemplificative di una visione estetica ed etica radicata nella storia culturale del Paese. Sono alcune delle opere che suggerirei per un primo approccio, sia per il loro valore intrinseco, sia perché danno dei parametri, delle idee di base su cui fondare una comprensione della letteratura giapponese. Un autore che mi piace molto è Akutagawa, che avvicina al lettore una varietà infinita di mondi, dal Giappone medievale alla Cina antica, all’universo fantastico della tradizione popolare, alla quotidianità che lui stesso viveva. Gli autori contemporanei spesso appaiono più universali, liberi dai legami con la cultura tradizionale. Banalmente, è praticamente inutile inserire note e glossario, ad esempio, nelle traduzioni delle opere di Ogawa Yōko (autrice che, peraltro, consiglio vivamente), perché parlano, per lo più, di luoghi che potrebbero essere ovunque. Tuttavia, se si leggono i suoi romanzi, o quelli di Murakami Haruki o di Yoshimoto Banana (o anche quelli della generazione precedente, come Abe Kōbō e Ōe Kenzaburō) dopo aver conosciuto le opere di Sōseki, Akutagawa, Kawabata, si hanno, secondo me, più chiavi di lettura, e ci si muove meglio negli universi che rappresentano. Ovviamente c’è molto altro nella letteratura giapponese. Mishima, ad esempio, visto di norma come un autore molto “comprensibile” in Occidente, è profondamente legato alla tradizione del suo Paese, e nella tetralogia (anche questa consigliatissima) che ha completato poco prima di darsi la morte seguendo il rito tradizionale del seppuku, racconta una visione buddhista del mondo che ha uno stretto rapporto con ciò cui fa riferimento Hirano in Racconto di una luna.

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