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Allonsanfàn
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Emily in Paris. I sogni in serial di Lily Collins in un mondo che non esiste (più)

È leggera, certo. È manichea e ha fatto inalberare i francesi. Rappresenta una Parigi che non esiste (più): tutta luci, coppie innamorate, flâneur contemporanei. Eppure, Emily in Paris è la serie Netflix che nessuno può perdersi, in particolare in un momento di fatica e ansia come quello che stiamo vivendo.

La storia è semplice: Emily (Lily Collins) è una giovane di Chicago (avete presente? la città più cazzuta e lavoratrice d’America) che arriva a Parigi per rilanciare la comunicazione social di un’agenzia d’alta moda. Ovviamente il suo incrollabile ottimismo e il suo candore andranno a scontrarsi con personalità e regole sociali che sono l’esatto opposto.

E, tuonino pure i difensori dell’ortodossia etico-estetica delle serie tv, non si può davvero smettere di seguire le avventure di questa ragazza, di sorridere di fronte alle “perle” linguistiche (je suis excité non significa proprio “sono felice di conoscerti”) e alle differenze culturali quasi abissali. Non a caso, nel giro di una manciata di giorni la serie si è piazzata al numero uno della classifica Netflix, e mentre alcuni l’hanno già liquidata come prodotto banale, e politicamente scorretto, noi proviamo ad abbozzare alcuni perché sul suo successo.

1. Forse siamo stanchi di horror e di ragazzi con oscuri superpoteri, stanchi di apocalissi, macellerie umane e sentimentali, stanchi di trame che sembrano labirinti architettonici.

2. Il crash culturale Francia-America sarà pure scontato, ma è gustosissimo. Per 38 minuti e rotti, ad ogni puntata assistiamo a due meravigliosi stereotipi nazionali in perenne contrasto (e davvero pare un po’ esagerato scomodare l’hate watching, come pure ha scritto Le Monde). Come quando un collega di Emily dice: “Voi americani vivete per lavorare e noi invece lavoriamo per vivere”. Oppure quando la protagonista prenota un tavolo nel ristorante più lussuoso di Parigi, e scopre di avere sbagliato giorno. “Ma perché invertite le date?”, chiede. “Siete voi americains che le invertite!”, risponde piccato il maître.

3. I vestiti. Non è un caso che la costumista di Emily in Paris sia Patricia Field, che per anni ha fatto sognare gli spettatori con gli outfit di Carrie, in Sex and the City. Avevamo molta nostalgia di quell’armadio, delle file di scarpe, delle mise improbabili ma quasi ipnotiche. E adesso non si può non restare deliziati da quelle suole rosse di Loubotin, dagli accessori e i colori indossati da Emily, che sono una continua citazione (nella puntata dell’Opera, abbiamo un omaggio alla Hepburn, con cui la somiglianza fisica della Collins è evidente).

4. Mee Too ma anche no. In una puntata dedicata al tema del sessismo, Emily e colleghi si confrontano su un sentire differente riguardo alla seduzione e al tema del potere della donna. Chi ha ragione? E’ evidente la forza e la maggior contemporaneità della visione di Emily, eppure emerge anche il limite di una visione, rigidamente manichea.

5. Le amiche. La complicità femminile emerge in tutta la sua forza gioiosa e complessità: si può essere naturalmente amiche, a pelle, e lo si resta per sempre. Ci sono amicizie che si conquistano invece sul campo, con fatica, guadagnando in fiducia e rispetto. Ci sono amicizie complicate, soprattutto quando di mezzo c’è un uomo conteso.

6.L’entusiasmo della stagione 25-35 anni. La serie è un tuffo in un tempo della vita che abbiamo tutti sperimentato: hai terminato gli studi ed ecco il mondo, il futuro, i progetti. Sono ancora tutti lì, ancora davanti. C’è un ventaglio di possibilità così grande che ogni giorno è un’avventura, ogni incontro è uno scrigno di relazioni, la vita ti appartiene, senza responsabilità. Abbiamo tutti il ricordo di questa fantastica fase narcisistica e, a fasi alterne sì, la rimpiangiamo per il resto della vita.

7. Parigi!!! Non la Parigi degli attentati e della paura, non la Parigi dei gilet gialli, delle barricate e della tensione sociale. La città che tutto il mondo ha idealizzato, quella delle luci, dei quartieri-gioiello, del profumo di pane e delle omelette au jambon, dei fiori e dei pittori. Non si può immaginare una location più furba: la vedi e la vuoi.

8. Abbiamo (tanto) bisogno di sognare. Viviamo un tempo complicato, a tratti doloroso. Forse un po’ di leggerezza, divertimento, è quello che davvero ci serve.

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