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Il podcast Polvere riapre il caso Russo: il delitto perfetto con due imputati antipatici

Un granello di polvere batte un bossolo. Una perizia sbagliata è più forte dei segni lasciati nel muro da altri spari. Come in una morra non cinese ma giudiziaria (carta, forbice, sasso) due giovani ricercatori vanno in galera sotto l’accusa di avere ucciso una studentessa, Marta Russo, 22 anni, che stava camminando per i viali dell’università di Roma.
Un caso di cronaca clamoroso che torna d’attualità grazie al lavoro di Chiara Lalli e Cecilia Sala, due giornaliste che hanno ascoltato centinaia di ore di registrazioni del processo, sono tornate sui luoghi del delitto e intervistato i protagonisti dell’epoca per ricostruire un caso da brividi. Perché mentre ascolti le otto puntate del podcast Polvere hai l’impressione che una storia simile potrebbe capitare a chiunque. E ti sembra impossibile che qualcuno, colpevole o innocente, sia andato in carcere sulla base di quelle prove.

E’ il 9 maggio 1997 quando Marta Russo passeggia con un’amica all’interno della università La Sapienza dove viene raggiunta da un colpo calibro 22 sparato da chissà dove. Le indagini si presentano subito complesse almeno fino a quando si scopre che nei bagni di Statistica dell’edificio vicino a dove è morta la studentessa c’è un bossolo. E sul muro di fronte segni possibili di spari. Qualcuno aveva già sparato. Il bagno è frequentato dai dipendenti della Pultra, una società di pulizie, che lo definiscono il deposito delle munizioni. I dipendenti della società hanno il porto d’armi e si esercitano al poligono dove si usa, per esempio, la calibro 22. La traiettoria dal bagno è compatibile con il percorso del proiettile che ha ucciso Marta. Sembra fatta, ma arriva il granello di polvere. Sul davanzale dell’aula 6 degli assistenti di filosofia del diritto si trova un granello di polvere, residuo di sparo.

Nella loro inchiesta Chiara Lalli e Cecilia Sala sottolineano come questo basti agli inquirenti per abbandonare la pista della Pultra. Se non fosse che la perizia sul granello di polvere si dimostrerà sbagliata, senza consistenza. Analoghe particelle saranno trovate in altre finestre che non danno sul luogo dell’omicidio. Ma questo non basta, la macchina infernale è già partita e travolge Giovanni Scattone, ritenuto poi l’autore dell’omicidio, e Salvatore Ferraro che l’ha aiutato.

Le indagini abbandonano le altre piste e si concentrano sull’Istituto di Filosofia del diritto dove si scopre che le armi abbondano. Tranne quella dell’omicidio che non verrà mai trovata, così come non si capirà mai bene il movente. Anche se per l’accusa “il movente è l’assenza di movente”. L’ambiente, come conferma il ricordo del Pm di allora, è incredibilmente omertoso tanto che lo paragona a una sorta di massoneria.

Lalli e Sala continuano la loro ricostruzione. Maria Chiara Lipari è la prima testimone. Nei minuti dello sparo era al telefono nell’aula 6. Dice che durante la prima telefonata che ha fatto non c’era nessuno, mentre c’erano delle presenze durante la seconda telefonata. Dice di essere uscita dalla stanza fra le due telefonate. Ma fra una e l’altra passano solo 23 secondi. Indica un nome che si salva perché ha un alibi. Poi parla di Gabriella Alletto e Francesco Liparota. E colloca Ferraro in aula 6.

Gabriella Alletto, evidenziano le due giornaliste, subisce forti pressioni dalle forze dell’ordine, c’è la strana presenza del cognato ispettore di polizia, ma lei non ha nulla da dire. Non era in aula 6. Poi, dopo l’arresto di Bruno Romano, direttore di Filosofia del diritto per favoreggiamento, crolla.
Scattone ha sparato e Ferraro si è messo le mani nei capelli.
Come mai ci ha messo tanto, le chiedono. Ha rischiato di mandare in galera degli innocenti con il suo silenzio. Perché avrei dovuto avere questa esigenza, mica stavamo parlando di miei parenti, risponde la donna. Edward C. Banfield e la teoria del familismo amorale spiegata bene. Liparota prima nega e poi conferma la Alletto. E parla di minacce della Polizia.
La Lipari parla solo di Ferraro fino a quando l’8 agosto a Fiumicino, poco prima di prendere un volo per le vacanze, si presenta al posto di Polizia dell’aeroporto e dice che alla finestra c’era anche Scattone. Precisazione importante perché Ferraro non poteva avere sparato. Un mancino da quella posizione non poteva farlo.

In primo grado Giovanni Scattone si prende 7 anni di reclusione per omicidio colposo, con l’aggravante della colpa cosciente (che esclude il dolo) e per possesso illegale di arma da fuoco. Ferraro viene condannato a 4 anni per favoreggiamento. La Corte rifiuta la tesi del delitto perfetto (hanno sparato per dimostrare l’impunità) e propende per l’errore.

Il 7 febbraio 2001 la Corte d’assise d’appello, presieduta da Francesco Plotino, conferma la sentenza di primo grado, con un lieve aumento della pena (8 e 6 anni) perché Ferraro è accusato anche di detenzione illegale di arma da fuoco e si stabilisce che Scattone poteva sapere che la pistola fosse carica. In Cassazione il procuratore generale Vincenzo Geraci critica duramente le indagini. Il processo annulla la sentenza e rimanda il tutto in appello dove viene confermata la sentenza con sei anni per Scattone e quattro per Ferraro. Infine, la Cassazione condanna Giovanni Scattone a 5 anni e quattro mesi, e Salvatore Ferraro a 4 anni e due mesi.

La vicenda è più densa. Ci sono altri personaggi che affollano la scena. Ma la facciamo breve perché il podcast va ascoltato e fatto ascoltare anche ai giovani che ancora coltivano la voglia di fare il giornalista. Perché è un ottimo esempio di inchiesta (oltre 200mila i download) realizzata con uno strumento nuovo per questo tipo di lavoro come il podcast. E perché il lavoro di Chiara Lalli e Cecilia Sala non cancella gli articoli pubblicati all’epoca da molti giornali. Non da tutti, visto che ci fu un movimento di opinione innocentista al quale parteciparono anche giornalisti.

Ma in troppi si abbeverarono senza dubbi alle fonti giudiziarie e degli inquirenti e sposarono in molti casi la suggestiva tesi del delitto perfetto. Corredata da una descrizione dei due imputati che, per quel che vale il ricordo personale di chi scrive, avevano un grande difetto. Scattone e Ferraro erano antipatici.    

Nella foto in apertura: Giovanni Scattone, a sinistra, e Salvatore Ferraro. Al centro, Marta Russo.

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