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Allonsanfàn
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(S)visto per voi. Fargo 4, l’antologica dei fratelli Coen, che la sanno lunga sui complotti Usa

Benvenuti alla bottega dei Fratelli Coen, che come artisti rinascimentali mettono a frutto la sapienza acquisita mettendo a contratto i garzoni per fare il lavoro ordinario con le Major papali del Nuovo Ordine Mondiale, e forse si scomodano ancora soltanto per firmare i contratti e riscuotere i crediti.

In questo che è anche il loro Pazzo pazzo mondo è sempre meglio agire in prima persona quando si tratta di denaro, troppo alto il rischio di finire gabbati da un errand boy con la valigetta come in una delle loro sceneggiature: sai che contrappasso passare in un amen alla realtà della cronaca spicciola, non più autori ma sbeffeggiati protagonisti!

D’altronde loro hanno capito la meccanica meglio degli stessi scienziati e dei divulgatori che invece di quelli francescani dovrebbero indossare i sandali di Bartali: quanta strada hanno da fare!, perciò in questo Nuovo Rinascimento dove siedono in quattro gatti (considerando che loro come coppia valgano uno) esclusi i troppo furbi e i cretini di ogni età, sanno bene quanto meglio sia non apparire per non finire triturati dal circo vanitoso dello sciò business: meglio osservare stando da lucciole nelle tenebre per evitare si scopra che è sempre la cassetta degli attrezzi a determinare la nostra visione o che l’occhio di bue ci riveli impietoso nel ruolo di vittime consenzienti dello stesso marcio mondo pieno di artisti che tengono famiglia.

L’antologica, essendo da vivi già cadaveri rosicchiati dai castorini delle antologie, giocando d’anticipo se la sono fatta in casa, ricicciando tutti i topoi del loro cinema e farcendo la pizza di autocitazioni: data la bontà degli ingredienti il risultato non può che essere da antologia stante quel profumino di operazione commerciale, comprensibile in rapporto al costo delle ville con piscina su Mulholland Drive, meno se ci si approccia alla catena Coen Bros & Co. con l’idea irrealizzabile che nelle cucine ci sia sempre la coppia di chef (per quanto l’ubiquità – ci permettiamo di suggerire – sia un tema in linea con il loro universo).

La palpebra cala, a dispetto delle ricostruzioni puntigliose, dei casting con scouting (a questo giro entra Genny Savastano), delle contaminazioni, dell’assurdo, del grottesco, dell’umorismo nero, dell’insensatezza, della ferocia umana, pure nelle tenerezze, e dell’ironia feroce, dell’idiozia diffusa e dell’ambizione frustrata… nell’universo che è falso quando in esergo si dichiara vero (“This is a true story”) i Coen si sono seduti comodi nel ruolo del mentitore: del paradosso si nutrono e sul paradosso proliferano perché restando nella logica classica il vero implica il falso e viceversa.

Forse hanno ragione loro ed è l’unica per via per far passare se non la Verità almeno alcune verità. Ma che meraviglia vedere spiegata l’America da Spud’s All Time nell’episodio 4 meglio di quanto sia riuscito a fare Philip Roth, se è vero com’è vero che il complotto l’America se l’è sempre fatto da sola, in casa propria e ai suoi stessi danni (“... but these american values: land of the free, home of the brave… these I dont’ know… and then I learnt the history of this country: the slavery, the smallpox in the blankets, how you stole the lands from the Natives. And then I realized… to be an american is to pretend. Capisci? You pretend to be one thing but really you are something else. And I can do that: lie, hide…”).

Il rischio è che restare nell’indistinto, senza prendere posizione, particelle sempre in movimento e perciò inafferabili, sia alla fine un gioco allo scoperto in cui anche gli sbarellamenti siano prevedibili e un’infermiera ti possa segare in auto canticchiando un inno patriottico e un attimo dopo la rapinatrice indiana vomitare scoreggiando sul malloppo.

L’arte si arricchisce della suggestione, è fuzzy per natura. Ma qui, ricordiamolo, siamo a bottega e niente ci impedisce di sperare che i Coen si stiano sgambettando da soli altrove, e perciò se è solo nel department store che si mente e si dice il vero come il cretese Epimenide lo facciano soltanto al 50% (diviso due).

  • Per altri (s)visti di Gabriele Nava, qui.

 

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