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Sophia Loren, la storia del cinema negli occhi e La vita davanti a sé su Netflix

Mamma Rosa è una prostituta in pensione che accoglie da sempre i figli sconosciuti delle sue colleghe semisconosciute, e li cresce. Ma questa volta ha detto basta.

Nella sua casa tanti colori, variopinte bamboline a fianco delle lampade spente, tanti vasi su mobili immobili da tanti anni, muri disegnati di casette col tetto a punta, di alberi verdi e marroni, di bambine bionde che sorridono.

…io ho chiuso, mo’ basta… ne ho avuti già troppi di figli di puttana in giro per casa!

…ma tra donne di strada si trova sempre un accordo… meglio io che i servizi sociali”.

E invece adotta, ancora una volta, un altro ragazzino, Momo.

Edoardo Ponti dirige La vita davanti a sé, film uscito in mondovisione su Netflix, dove la protagonista è sua madre, Sophia Loren. Il film è tratto dal romanzo francese di Émile Ajar, ovvero Romain Gary, già premio Goncourt per Le radici del cielo (Les racines du ciel) nel 1956. Penna notevole della letteratura francese del XX secolo.

Nel 2013 Sophia Loren aveva già lavorato con suo figlio, recitando in La voce umana (La voix humaine), cortometraggio tratto dalla pièce di Jean Cocteau, tradotta in napoletano autentico da Erri De Luca, e diretto appunto da Edoardo Ponti: volle così regalare alla madre quel ruolo femminile che aveva tanto fatto sognare Sophia ragazza e aveva dato inizio alla carriera dell’immensa attrice che diventò poi.

Il ruolo di Anna Magnani nel film omonimo di Rossellini del 1948 era stato fulminante per tutte le donne, compresa lei, Sophia Loren: giovanissima, decise di recitare proprio dopo aver visto la scena di quella telefonata straziante di una donna a letto, in lacrime, che è stata lasciata dal suo uomo, ma che ha ancora la sua dignità, perché ama. Anna Magnani gigantesca, Sophia Loren pure.

Anche in questo film, Loren interpreta una donna con la dignità di una donna, che nonostante la borsetta piena del peso della sua storia – Mamma Rosa è ebrea, scampata ad Auschwitz, prostituta in un quartiere popolare, dove cerca di sopravvivere accogliendo e crescendo i figli delle sue colleghe prostitute – continua a camminare svelta per il mercato di Santo Spirito a Bari, dove il film è ambientato.

Mamma senza essere madre, Mamma Rosa non vuole svelare le proprie debolezze, che invece, già nel romanzo così come nel film trasportato al secolo XXI, costruiscono la sua personalità forte: Mamma Rosa rimane in piedi nonostante tutto, con quegli occhi fermi, immensi, di cui Ponti riempie lo schermo.

Momo è un ragazzino senegalese arrivato in Italia quando era piccolo, e vive in una Bari che appare senza dubbio come una città dominata da scenari più grigi che colorati. Il ragazzino spaccia, anche se Mamma Rosa gli trova un lavoretto da un suo amico artigiano. Tornano in mente I Miserabili, quelli di Victor Hugo certo, ma anche quelli del più recente film francese, davvero notevole, di Ladj Li, uscito in Francia nel 2019.

Momo ama disegnare, come tutti i bambini. Anche Mamma Rosa disegnava bene quando era piccola.

Diversi in tutto: colore della pelle, età, religione, più tardi è l’umanità che viene fuori e che li unisce, Mamma Rosa e Momo diventano infine amici, amici umani.

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