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Andromeda, il nuovo romanzo nero della galassia Morozzi

Forse non esistono i singoli romanzi di Gianluca Morozzi – anche se ne è appena uscito uno, Andromeda (Giulio Perrone editore). Esiste invece una sorta di galassia tra cui navigano da due decenni ormai i suoi lettori, e al centro della quale scrive lui, autore e demiurgo.

Pagine e titoli assai diversi finiscono per richiamarsi l’un l’altro, poiché vedono all’opera, magari solo per una comparsata, personaggi già noti, quasi che il loro creatore non cessi di perfezionarne – senza esaurirla – la storia, di vivere in mezzo a loro.

Se dividiamo in due, con un gesto arbitrario, la galassia Morozzi troviamo da un lato il mondo stralunato e umoristico di una Bologna popolare e scassata, che si trascina per “resistere” tra concerti rock e partite di calcio rossoblu: è quella di L’era del porco – che poi forse era pure un metaromanzo -, quella di Lajos e dell’Orrido, della saga di Kabra e dei Despero – e credo che questi ultimi meritino una sorta di entrata in qualche Hall of Fame essendo la band più significativa inventata da uno scrittore italiano.

Un’altra città, illuminata da una luce fredda e malvagia, vive invece appena fuori dell’ascensore di Blackout – primo best seller morozziano di una seconda filiera – e riempie gli spazi tra gli incubi violenti dei noir basati su sofisticati rompicapo – spazi spesso divertenti perché Morozzi non riesce a fare a meno di divertire mentre narra, anche se nella pagina prima ha sparso litri di sangue.

Il nuovo Andromeda è puro Morozzi horror e più nero del nero ma vanta per esempio la comparsa (inattesa e gradita) dei Despero – addirittura live a una Festa dell’Unità dove suonano Brucia – e poi ospita un omaggio al tifoso Lobo e offre un cameo significativo a Mauro Britos, l’artista protagonista dell’agghiacciante Gli annientatori (TEA)…

Ciò serve per accorgersi che, oltre ai personaggi, rendono compatta la galassia di Morozzi le sue influenze – vale a dire gli amori, le manie e le idiosincrasie letterarie, cinematografiche, fumettistiche, musicali, più che spesso raccontate e usate, con disinvolta abilità, come materiale narrativo tra una pagina e l’altra.

Così avviene in Andromeda, che è un florilegio post post post moderno di citazioni che si sciolgono una dietro l’altra nel monologo di un pazzo vendicatore armato di sega elettrica. Gli zombie di Lucio Fulci si trovano senza sforzo a fianco del cult intellettuale La jetée, la colonna sonora è elettronica anni ’80, con sconfinamento nel rock fiorentino dei Diaframma – un’altra band che come i Despero ha cambiato il cantante… – per accompagnare il ricordo di una gioventù da Bologna Bene ma non troppo ignara del Dams, mentre l’eco di una tragedia greca (vedi il titolo) si abbassa o si alza, fate vobis, fino all’Olimpo del fumetto.

Quando l’anno scorso era comparso l’ambizioso Dracula ed io (TEA), avevo fatto per mail qualche domanda a Morozzi, e lui mi aveva risposto cose interessanti.

Mentre voi leggete il cupo, disperato, divertente monologo di Andromeda – il faccia a faccia, quasi un récit, tra un uomo che cerca vendetta e la vittima muta legata a una croce che non ha la minima idea del perché l’uomo voglia farlo a pezzi – può fermarlo solo se ne ricorda il nome, ma come cavolo fa a non ricordarselo? – ricopio qualche domanda di quell’intervista: era finita persa nel web ed è un peccato perché contiene tra l’altro ottimi indirizzi di lettura.

 

D. Il tuo lavoro di scrittore sembra avere due poli: un coté più bolognese e un ciclo di storie più tecnicamente dark, per esempio Cicatrici o Radiomorte, che stanno dalle parti di Blackout. Ci sono due Morozzi?
R. «Quando inizi a fare lo scrittore devi porti degli obiettivi, dei punti di riferimento, possibilmente alti: e io mi ero posto Andrea Pazienza. Quanti Pazienza c’erano? Quello di Pertini era lo stesso di Pompeo? Quello di Pentothal era lo stesso di Zanardi? Ecco: Dracula ed io è il primo romanzo in cui faccio convivere le varie anime, quella sanguinaria e quella comica. E stanno bene insieme, devo dire».

Quali scrittori americani ti piacciono di più? Per Dracula viene alla mente l’Easton Ellis di Lunar Park, come Lethem per Colui che gli Dèi vogliono distruggere.
«Sono due paragoni molto calzanti. Potrei dirti anche Cristopher Moore, o Douglas Adams, o potrei andare ancora più indietro a John Fante, o citare i dieci romanzi di Stephen King che mi hanno cambiato la vita. Forse per Dracula ed io potrei citare il Lansdale più folle, quello di Ned la foca, quello della Notte del Drive-in, quello che fa combattere un anziano Elvis con una mummia egizia».

Gli scrittori italiani che ti hanno insegnato qualcosa? Lajos ama Luigi Malerba, oggi abbastanza dimenticato.
«A parte quel genio assoluto di Malerba, che andrebbe celebrato anche solo per Il serpente, Dino Buzzati, assolutamente. Scerbanenco. Berto. E la liberazione che è stata scoprire Paolo Nori e gli scrittori che venivano da quel giro intorno alla rivista Il semplice, il gusto di uscire da certi schemi stilistici e contenutistici derivati da tante letture di scrittori americani».

IL LIBRO Gianluca Morozzi, Andromeda (Giulio Perrone editore).

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