UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Mario Vargas Llosa, Tempi duri: lo sguardo fisso sul potere in un golpe di fake news

Tempi duri, scriveva Santa Teresa da Ávila, accusata di trafficare col demonio, e che lo siano – ma quando precisamente, ieri o oggi? – lo ribadisce in piena laicità Mario Vargas Llosa (Arequipa, Perù, 1936) nel titolo del suo nuovo libro.

Scrittore di superba apertura alare, abituato da sempre ad alimentarsi della forza di più culture, il peruviano ha nutrito i suoi romanzi dai celebri piani sovrapposti e intersecati di grandeur balzachiana dopo essersi votato alla disciplina di Flaubert.

Ha mescolato in storie sterminate – e senza confine, essendo il suo confine il mondo stesso – tutti i realismi declinabili da Auerbach come dall’ultimo pennivendolo da feuilleton, rivitalizzando lo stream (da Joyce a Faulkner), e praticando tutti i registri.

Lo abbiamo letto epico e solenne ma anche umoristico e grottesco, intellettuale e divagante, ogni volta che ha potuto seguire la sua ispirazione profonda – quel desiderio di essere un uomo libero pur in una terra dannata, che gli ha fatto scrivere da giovane, in tour de force muscolari, La città e i cani o le lunghe pagine avvolte di insopportabile violenza di Conversazione nella Cattedrale – due dei grandi romanzi del secondo Novecento che, con La casa verde, mostrarono “…come una dittatura entra nella vita della gente”.

Ecco in una povera sintesi le coordinate dell’incontestabile premio Nobel 2010, che preludono a una fatidica domanda – no, non la solita: se è meglio lui o Márquez oppure quale altro nord o sud o centroamericano ha amato più di lui le donne e creato le eroine più sensuali – ma: che cosa possiamo aspettarci oggi da Vargas Llosa, 86 anni, alla presumibile coda di una carriera umana ricchissima che (a me, almeno) riempie uno scaffale di libreria, tra romanzi e saggi?

Vediamo da vicino Tempi duri (Einaudi), a circa mezzo secolo da quando lo scrittore impose alla Cattedrale l’esergo da Balzac: “…il romanzo è la storia privata delle nazioni”. Convinzione questa a cui resta fedele, Vargas Llosa, procedendo a creare personaggi indimenticabili.

Spiccano qui Johnny Abbes García, feroce capo dei servizi segreti dominicani, già comparso ne La festa del caprone, e un’avventurosa mala niña, Marta Borrero Parra, detta per l’avvenenza Miss Guatemala: ne diviene quasi per forza di inerzia l’amante dopo esserlo stata di Carlos Castillo Armas, messo al potere dagli Usa in America Centrale inneggiando a Dio, Patria e Libertà e poi liquidato leggete come.

Ma c’è bisogno di Google per separare i personaggi storici da quelli di fantasia, perché vera è la storia da cui si parte.

Guatemala anni Cinquanta: il Paese, in mano a Jacobo Árbenz, alcolista in sonno e uomo probo, è sulla strada di un’equa riforma agraria che distribuisca la terra ai contadini. Peccato che ciò passi per l’innesco di una rivoluzione comunista, sponsorizzata dall’Urss che cerca uno sbocco su Panama.

Non è vero ma non importa. Si tratta di una fake news spudorata, elaborata dai nuovi Dei che presiedono lo storytelling del mondo: i professionisti della pubblicità al soldo della United Fruit Company, poi Chiquita, che smercia per l’orbe terracqueo le sue banane, sfruttando i contadini dell’America Centrale, complici i dittatori corrotti. E nel 1954 in Guatemala con un golpe causato dagli affari cade Jacobo Árbenz e torna a capo del Paese un uomo di paglia, Castillo Armas detto Faccia D’Ascia.

La storia e le storie corrono nei capitoli fino a lasciare l’impressione – è quel che pensa un personaggio marginale, il medico progressista Efrén García Ardiles divenuto un drop out dopo aver sposato Marta, messa incinta quasi bambina – che tutto sia scespirianamente “…un ammasso di menzogne trasformate in verità da gigantesche cospirazioni dei potenti a danno dei poveri diavoli… Gli eroi? Commedianti da circo…”

Ma torniamo al discorso del singolo e della società. Nessuno si salva realmente nell’universo di Vargas Llosa – cioè esce dal gioco – poiché i comportamenti individuali si specchiano in quelli epocali, e viceversa. Lo scrittore peruviano, per convinzione e mestiere, è sempre pronto a stabilire una connessione tra desideri, ambizioni e risentimenti privati e lo svolgersi della vita pubblica: a volte la consonanza avviene sotto il segno della volontà, spesso del lapsus, o della beffa, come nel caso di un tradimento di Marta che echeggia e controbilancia quello di una cospirazione internazionale.

Per narrare, Vargas Llosa si prende tutto il suo tempo, facendo del tempo il materiale stesso della sua fiction. Così come mescola il vero col fantastico, costruisce e disfa la cronologia del racconto in un incastro inesauribile di flashback e flashforward che lascia posto nelle nicchie anche a ritratti di comprimari – magistrale e terribile il destino di Enrique il Bifolco, il mercenario efficiente ma disprezzato dal padrone, che non conosce altro che l’asservimento a chi comanda.

Impassibile più che pietoso, questa volta, Vargas Llosa è capace nel flusso narrativo di fissare il volto del potere, riassumendo in una frase la violenza compressa tra i personaggi – vedi il primo incontro di sesso tra Abbes García e Marta, liberi per la prima volta, nell’hotel oltre frontiera – oppure di vagabondare per le pagine da onnisciente uomo di mondo, che sa persino le differenze tra bordelli guatemaltechi e dominicani a metà degli anni Cinquanta. Al termine del libro, il peruviano guarda in macchina, mentre conversa con un’invecchiata mala niña, e ci lascia un netto giudizio politico: l’intervento militare degli Stati Uniti contro Árbenz ha frenato e mandato in rovina la democratizzazione dell’America Latina. Punto.

Che cosa è Tempi duri, quindi? Un puro e semplice “oggetto d’uso” – come scriveva Francesca Lazzarato su il Manifesto nel 2013, riferendosi a L’eroe discreto – affidato a scaltro mestiere e tecnica narrativa di un autore più che senescente? È anche questo, certo, ma proprio perché è questo, Tempi duri ha una qualità che ora lo rende raro, essendo di regola il romanzo verità contemporaneo sul potere del dio denaro al meglio una scheletrica sceneggiatura cinematografica. Ma adesso leggete voi.

IL LIBRO Mario Vargas Llosa, Tempi duri, traduzione Federica Niola, Einaudi

Credit: “Mario Vargas Llosa es nuevo orgullo para Latinoamérica” by Globovisión is licensed under CC BY-NC 2.0

I social: