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Italia, i giorni della droga. La mafia, i servizi segreti, il caso Verona. Parte seconda

Come raccontato nella prima parte, gli anni Settanta vedono una progressiva crescita del consumo di droga spinta da due fattori. Tralasciando la parte sociologica sull’evolversi dei movimenti, il ’77 e altro, ci concentriamo su quella criminale.

Da una parte c’è Cosa nostra e dall’altra l’oscuro mondo dei servizi segreti.

Attilio Bolzoni in Quando la mafia siciliana scoprì la droga e conquistò l’Italia, su Domani del 12 gennaio 2021, racconta come la Palermo degli anni Settanta fosse schifosamente ricca. Totò Riina stava conquistando il potere anche per gestire quel traffico di droga che dalla Sicilia copriva un terzo del mercato nordamericano. Nell’isola alla metà degli anni Settanta funzionavano 11 raffinerie prima con i chimici francesi e poi con quelli italiani come Francesco Marino Mannoia, “freelance” che lavorava per più famiglie.

In mezzo c’è l’incidente di Pietro Vernengo che millanta conoscenze nell’arte della raffinazione e spedisce negli Usa partite di droga che fanno morire come mosche i tossici americani. Viene sostituito. Scrive Bolzoni: “Non si sa esattamente cosa sia accaduto né esattamente quando, ma l’eroina di Palermo ha iniziato a uccidere i ragazzi italiani”.

Piero Melati ne La notte della civetta racconta di come improvvisamente sia sparito il fumo, siano iniziati gli omicidi dei piccoli spacciatori e l’eroina che prima si trovava solo a Villa Sperlinga, poi soprannominata Villa Siringa, inizi a diffondersi ovunque. Nei documentari si parla di strani personaggi, ben vestiti, che offrono droga. Quello che agli inizi degli anni Settanta era un business primitivo si trasforma in attività per professionisti. In mezzo ci sono anche i servizi segreti.

Come racconta Operazione Bluemoon – Eroina di Stato di Rai Storia non si tratta di complottismo da quattro soldi, ma di una verità storica. Lo spiega il giudice Guido Salvini, l’autore dello straordinario La maledizione di piazza Fontana che narra vicende mai lette da nessuna parte.

Salvini parla di Aginterpress, una centrale operativa dei servizi segreti occidentali attiva a Lisbona. “Era una struttura parallela, anticomunista, che aveva il compito di organizzare azioni dove ufficialmente gli Stati non dovevano figurare”. Si insegnava a mettere bombe e come si organizzava un finto gruppo maoista. L’obiettivo era creare il caos. E la droga diventa un’arma da usare contro gli oppositori.

Si arriva così alla riunione del 1972 che si tiene in Francia sui monti Vosgi dove si spiega l’operazione Bluemoon. Roberto Cavallaro partecipa all’incontro e racconta: “L’argomento di discussione erano le opposizioni” e visto che in Occidente non si poteva fare come in Russia o Cina (fucilazioni e gulag o campi di rieducazione) si parlò di Bluemoon. Ovvero “l’introduzione regolata, non per legge ma disciplinata da accordi di intelligence, di sostanze stupefacenti da destinare a un pubblico giovane per diminuirne la capacità di resistenza”. “Era un’ipotesi che aveva una ragionevole possibilità di essere utilizzata”. Perché “Il nemico va comunque eliminato”.

Non si capisce se il progetto sia poi entrato nella sua fase operativa, ma il documentario parla anche del ruolo di Ronald Stark, “uno strano americano”, un agente provocatore che riveste un ruolo fondamentale nell’operazione e lavorerà anche in Italia. La sua figura ispira il libro di Giancarlo De Cataldo L’agente del caos.

A Roma l’eroina, racconta Marcello Baraghini di Stampa Alternativa, compare in Campo dei fiori tramite tre coatti, piccoli spacciatori. Uno di loro, individuato, raccontò che la faccenda era molto più grossa e c’entravano i servizi.

L’eroina dilaga. Nel 1979 il Corriere della Sera chiude l’anno con una foto in prima pagina di un ragazzo ucciso da un’overdose. È Dario Rizzi, 16 anni, morto da solo in una notte di freddo micidiale su una panchina nei giardini di via Livigno.

1979 overdose droga

L’eroina non colpisce solo i ceti proletari. Verona è una città ricca ma di droga ce n’è tanta anche lì. In Sociologia della droga: il caso Verona, pubblicato su Micromega nel 1989, Pino Arlacchi e Roger Lewis raccontano l’espansione del mercato in una città dove il centro cittadino, piazza delle Erbe, è preda di tossici e spacciatori. E i dati dei rilevamenti effettuati su frequentatori del servizio per le tossicodipendenze dicono che il 51,5% sono occupati, il 7,5% proviene dalla classe agiata e l’80% dal ceto medio. Per quello che può valere la mia testimonianza personale in quegli anni frequentavo molti veronesi, anche benestanti, e la presenza della droga si sentiva eccome.

La gestione del traffico degli stupefacenti contribuisce allo scoppio della guerra di mafia di fine anni Settanta e inizio Ottanta che vede l’affermazione dei Corleonesi e comporta circa un migliaio di vittime più centinaia di persone delle cosche perdenti che lasciano la Sicilia. Il primo a parlare di droga a Palermo è Rocco Chinnici, poi ucciso con un’autobomba il 29 luglio 1983.

Che ci sia stato o meno l’intervento dei servizi segreti l’obiettivo di diffondere la droga è stato raggiunto. A metà anni Ottanta i tossici in Italia saranno circa 300mila.

L’altro target di indebolire i gruppi estremisti è più discutibile visto che in Italia abbiamo avuto il periodo più lungo in Europa di contestazione e un terrorismo proseguito negli anni.

Ma c’è un’ultima cosa riguardo il traffico di droga. Ed è ancora Piero Melati a farla notare. Buscetta inizialmente era reticente riguardo al suo ruolo di trafficante e a quello di Tano Badalamenti. Messo alle strette da Falcone confessò “ma la sua versione condizionerà pesantemente la storia delle origini della guerra di mafia e occulterà l’importanza avuta dal narcotraffico”. Questo perché Buscetta racconterà che ogni singola famiglia lavorava per conto proprio, senza il bisogno dell’assenso da parte del vertice. In questo modo sfuma la possibilità del reato associativo utilizzato per gli omicidi con la fondamentale visione dell’unitarietà dell’organizzazione che tanta paura faceva a Totò Riina. Per la droga si parla di responsabilità individuale e bisognerà stabilire volta per volta se il singolo mafioso ne è coinvolto. Tutto molto più difficile.

Questa la storia che porta a SanPa. Che non è, come può sembrare dalla serie, l’unico luogo dove ci si occupa dei tossicodipendenti. «Negli anni ’80» racconta Riccardo De Facci, presidente del Cnca, la più grossa federazione delle comunità di recupero «oltre a San Patrignano c’erano almeno 150 realtà che utilizzavano metodologie completamente diverse». Ma questa è un’altra storia.

Foto in apertura: “The Needle and the Damage Done.” by Jacopo Aneghini Photos © is licensed under CC BY-NC 2.0

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