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Allonsanfàn
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Vermicino e quella cronaca in diretta tv della morte di Alfredino

Da settimane, in tv, vedo immagini che risalgono a 40 anni fa. Sono quelle della tragedia di Vermicino, della morte in diretta di Alfredo Rampi, un bambino di 6 anni caduto in un pozzo artesiano largo 28 centimetri e profondo 80 metri nella campagna nei pressi di Frascati. Per tre giorni, dal 10 al 13 giugno, tentarono di salvarlo: in tv andarono in onda le ultime 18 ore.

Era il 1981 ed era un altro mondo. Ma quelle immagini non le ho scordate.

La folla intorno al pozzo, i primi piani della madre straziata, l’arrivo delle trivelle rallentato dalle 10mila persone accorse sul posto “per vedere”, i soccorritori calati nel buco, il presidente della Repubblica Sandro Pertini con il microfono in mano, per parlare con quel bambino perduto. Per diciotto ore rimasero davanti alla televisione più di 20 milioni di italiani.

Quarant’anni dopo (gli anniversari sono implacabili) è tornato tutto. Con speciali, testimonianze, immagini, reportage («questo è il posto dove era il pozzo» l’ho sentito da una mezza dozzina di giornalisti, ciascuno a indicare un non-luogo tra prati incolti).

Io, questi programmi, ho tentato di seguirli, perché è giusto non dimenticare, perché comunque è una pagina di storia del nostro povero Paese, «perché» mi sono detta «se hai visto crollare in diretta le Torri Gemelle a New York e il ponte Morandi a Genova e la funivia del Mottarone, se segui – mentre accade – quello che di tremendo succede nel mondo, perché non rivedere Vermicino?». Eppure dopo qualche minuto ho spento la tv.

È troppo, ho pensato. Anche se il troppo di oggi supera di gran lunga quelle immagini.

Sky, che oggi, 21 giugno, e lunedì prossimo 28 giugno, trasmette Alfredino – Una storia italiana (sì, hanno fatto anche la serie, e vedremo come sarà), qualche pensiero deve averlo avuto, perché nel comunicato stampa sostiene che quanto accaduto a Vermicino è un sasso duro rimasto nel cuore di un intero Paese, un trauma collettivo. E che la serie «è animata dalla speranza di aiutare ad elaborarlo e superarlo. Un evento doloroso che appartiene alla memoria storica dell’Italia e da cui, però, è scaturito qualcosa di prezioso: la vicenda di Alfredino diede infatti un impulso decisivo alla costituzione della Protezione civile come la conosciamo oggi e grazie alla determinazione di Franca Rampi è sorto il Centro Alfredo Rampi, con l’obiettivo di evitare che altri potessero soffrire quanto da loro sofferto».

Sarà. Certo è che quella lunghissima diretta tv fu la prima cronaca di una morte in diretta, ed è questo che probabilmente rende il ricordo intollerabile a tanti di noi che davanti agli schermi c’eravamo. Cronaca della storia di un bambino che per ore parlò ai soccorritori (io me lo ricordo quel «Mamma, ma quando arrivi? Non mi dire bugie!») e poi non parlò più (venne tirato fuori cadavere, 28 giorni dopo), aprendo le porte a quella “tv del dolore” che oggi invade reti e programmi. Senza pietà. E senza pudore.

«Era diventato un reality show terrificante» disse anni dopo il giornalista Piero Badaloni che condusse la diretta Rai. «Tutto cominciò con quella corsa assurda che imponeva di spettacolizzare la notizia per vincere su una concorrenza che stava nascendo proprio allora» ha aggiunto ora in un’intervista al quotidiano Avvenire. «Non sono affatto convinto che il dolore, la morbosità, siano i mezzi per fare più audience. Chi l’ha detto che certe trasmissioni propositive non piacciano al pubblico?».

Già, chi l’ha detto?

Foto in apertura: una scena di Alfredino – Una storia italiana, serie Sky Original prodotta da Marco Belardi per Lotus Production, una società Leone Film Group, in onda il 21 e il 28 giugno su Sky e in streaming su NOW. Credit: Lucia Iuorio

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