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Allonsanfàn
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Yoga di Carrère, la storia vera di un passo falso

Avere un lavoro che piace non è solo un’esperienza appagante, ma una condizione quasi necessaria, per quanto non sufficiente, per condurre un’esistenza felice. Ne discende che, almeno ai miei occhi, essere scrittore di professione potrebbe essere una buona premessa di felicità. Giusto? Sbagliato.

Il mestiere dello scrittore è a grave rischio – lo testimonia il fatto che sia una delle professioni più falcidiate dai suicidi (serve un elenco?) – e pure conquistare il successo non sembra avere nessun effetto deterrente contro la depressione. La competizione gioca evidentemente il suo ruolo, e la frustrazione, che accompagna la consapevolezza di chi sa che non sarà mai il nuovo Flaubert, fa il resto.

Così Emmanuel Carrère vorrebbe essere Houellebecq, che forse sogna di essere Jo Nesbø, che vorrebbe essere Stephen King, che vorrebbe essere Le Carré, e così via. One man’s ceiling is another man’s floor, il soffitto di qualcuno è il pavimento di un altro, come cantava Paul Simon, e nel frattempo nessun essere sano di mente può sentirsi legittimamente l’erede di Dostoevskij.

Un libro come questo Yoga (Adelphi) potrebbe essere letto anche in qualità di un trattato su come uno scrittore (di successo ma depresso) può scampare al suicidio (magari andandoci vicino), attraverso meditazione, sedute psichiatriche, attività volontaristiche, effimere storie d’amore e di sesso e persino trattamenti di elettroshock – tutto questo senza ottenere risultati definitivi nei confronti della depressione e della paura di poterci ricadere.

Ma Carrère non ha la profondità né di un Foster Wallace né di Giuseppe Berto, che con Il Male Oscuro ha scritto un trattato ben più convincente sui labirinti della mente; lo scrittore francese – partito con l’intenzione di realizzare “un libricino arguto e accattivante sullo yoga” – si trova quindi a raccontare una storia autobiografica che riguarda essenzialmente la sua depressione e tutto quello che le gira intorno, con divagazioni geografiche, cinematografiche, letterarie e persino musicali, e citazioni spesso illuminanti che vanno da Malraux a Buzzati, da Glenn Gould a Renaud Camus; divagazioni e citazioni che tengono in piedi un racconto altrimenti così esangue da far venire in mente il titolo della ben più gustosa autobiografia di Woody Allen: A proposito di niente.

C’è da dire che il libro inizia benissimo, grazie allo sguardo autoironico e abbastanza irriverente nei confronti del fanatismo e dei luoghi comuni che caratterizzano i seguaci di certe dottrine esoteriche: un miscuglio di misticismo e dabbenaggine che fa credere a tanti – in modalità consolatoria – che la pratica di una filosofia mistico-orientale possa condurre non solo alla conoscenza di sé e del mondo ma addirittura all’illuminazione e alla percezione esatta del bene e del male.

Per carità, abbiamo tutti bisogno di credere a qualcosa – c’è anche chi ripudia le religioni per rifugiarsi negli oroscopi e nella chiromanzia – ma Carrère è davvero fulminante quando narra dell’esistenza di uno “stage di teletrasporto” finendo col chiedersi se rimanere delusi dall’evidenza che il teletrasporto non funziona sia da considerarsi come “indice di invidiabile apertura mentale” o sia piuttosto la dimostrazione che chi ci crede (e dichiara poi di essere rimasto deluso) non sia in definitiva “un po’ coglione”.

Purtroppo però, dopo questo promettente incipit, la storia vira presto verso una penosa ricostruzione del periodo di depressione vissuto dallo scrittore e il povero lettore viene trascinato suo malgrado nell’autocommiserazione – a tratti compiaciuta – e nella descrizione del profondo stato di prostrazione, corredato di pensieri suicidari; con animo triste e pio e con perversa minuzia l’autore ci mette al corrente di tutte le sue vicende maniaco-depressive fino alla decisione estrema di affrontare l’elettroshock. Ed è qui che il racconto, invece di farsi cupo e drammatico, sfiora il ridicolo, tanto è il narcisismo di Carrère nel descrivere le proprie disgrazie.

Emmanuel Carrère vorrebbe essere Houellebecq, che forse sogna di essere Jo Nesbø, che vorrebbe essere Stephen King, che vorrebbe essere Le Carré, e così via… Il soffitto di qualcuno è sempre il pavimento di un altro

Così come incredibilmente autocompiaciuta e francamente poco credibile è la “missione” di Carrère all’isola di Leros per lavarsi di dosso il periodo suicidario e insegnare l’inglese a quattro giovani profughi siriani; qui c’è anche il tempo per innamorarsi/non innamorarsi di una volontaria americana che spiega a Carrère la bellezza di Chopin suonato da Martha Argerich.

Da qui in poi il racconto non si risolleva, anzi sprofonda in una narrazione scialba e tutt’altro che appassionante (colpa dell’elettroshock?). Tanto da farmi pensare che, se ho letto questo libro fino in fondo, è stato più per rispetto dei miei diciannove euro che per reale considerazione nei confronti di un autore che pure in passato ho amato, almeno per libri come Il Regno e Vite che non sono la mia.

Ma c’è un altro motivo che suscita curiosità (e perplessità) su questo libro. Ed è la vicenda personale che ha condotto la ex moglie di Carrère a impedirgli, per vie legali, di coinvolgerla e financo di citarla nella vicenda e nel racconto; non solo: sembra che la intrepida Hélène abbia sbugiardato pubblicamente il marito, sollevando fondati dubbi sulla veridicità di gran parte della storia narrata. Che poi una tale affermazione non dovrebbe pesare più di tanto (in fondo ogni scrittore ha il diritto di inventare) se non fosse che Carrère dichiara a ogni piè sospinto di raccontare solo fatti realmente accaduti.

Quest’ultima considerazione potrebbe essere tuttalpiù solo un elemento accessorio di disinteresse nei confronti di Yoga, un libro che avrebbe fatto meglio a rimanere solo “un libricino arguto e accattivante sullo yoga”. Perché il senso del libro sta tutto nella duplicità e nella contrapposizione: yin e yang, giorno e notte, inspirazione ed espirazione (ma anche ispirazione e traspirazione), felicità e depressione. E allora – perché no? – vero e falso. Anche se volessimo dare retta all’autore, e illuderci che tutto quanto il racconto possa essere vero, questo per Carrère è davvero un passo falso.

  • Claudio Buja è giornalista ed editore musicale

 

Credit: Emmanuel Carrère by leafar. is licensed under CC BY-SA 2.0

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