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Allonsanfàn
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Nel film The Unforgivable, un’imperdonabile Bullock cerca una bambina perduta

Credo che The Unforgivable trovi il suo senso e il momento migliore nel finale, quando, allo scioglimento in stile thriller di un nodo della trama, si sovrappone una sorta di sinfonia sentimentale quasi malickiana in cui viene elaborato il lutto di una separazione. Non per caso l’atmosferica soundtrack è firmata da Hans Zimmer (con David Fleming) e incalza lo spettatore, che ha già gli occhi lucidi e tira un po’ su col naso.

Fino a quel momento, siamo tutti nel gelo di Seattle. The Unforgivable, tratto dalla serie inglese Unforgiven (2009), risceneggiato da un trio comprendente il quotato Peter Craig – da Hunger Games: Mockingjay ai Batman e Top Gun 2022 – e affidato a una rigida regista tedesca, Nora Fingscheidt, è la cupa e poco emozionante vicenda di un assai difficile riscatto.

Ruth Slater-Sandra Bullock, condannata per la morte di un poliziotto e con metà vita trascorsa dietro le sbarre, esce dal carcere con negli occhi e nel cuore (in apparenza ghiacciato) l’immagine della sorellina che aveva tra le braccia in quel giorno maledetto e che forse ha perso per sempre.

Nei panni di un livido fantasma proletario, domiciliata in sozzi dormitori del quartiere cinese e al lavoro in cuffia bianca, al banco del pesce, Bullock affronta una trama spezzettata tra cento umiliazioni e mille flashback, offrendo il volto nudo e dolente di una fifty something (ahimè ritoccata, guardare foto sopra) che ha dimenticato da quel dì le predilette commedie.

E la bambina? Ora è una ragazza sveglia (Aisling Franciosi, già nel Trono di Spade e teenager scervellata in The Fall): cresciuta da onesti genitori borghesi, si esercita con grazia al pianoforte in una città parallela a quella dove si muove Slater-Bullock e sembra tanto inavvicinabile dalla donna dannata quanto intoccabile da un passato rimosso.

Troppo scura la storia, ma brava la Bullock, hanno decretato gli spettatori Usa del film “liberato ora” o, se preferite, “imprigionato ora” su Netflix dopo qualche giorno in sala. Ma salvo che nel finale da lacrime, l’idea – connaturata peraltro alle serie, bisognose di continui colpi di scena, come fossero motorette in continuo riavviamento – l’idea, dicevo, di mescolare a un copione drammatico barlumi e vampate di giallo confonde lo spettatore e impoverisce il film invece di arricchirlo.

***

A margine L’uso del ritocco a Hollywood, che noto, se segnalato, provocare fastidio, quasi fosse una sorta di face shaming, non è certo confinato al sesso femminile, e penso alle facce di gomma di Stallone e di Reeves e di ogni divo da action movie, ai parrucchini attaccati con lo sputo di Cage o ai cespi di banane in testa ad Affleck. Se lo segnalo, è perché spiace, perché si tratta di tempo passato, anzi perduto.

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