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Allonsanfàn
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Raccontare la vecchiaia e la morte con leggerezza. A teatro si può

«A invecchiare non ti insegna nessuno». Sul palco del Teatro Oscar di Milano Daniela Cristofori quasi lo urla a Giacomo Poretti. Sono moglie e marito nella vita (e si nota dalla complicità). Lo sono anche nello spettacolo Funeral Home che affronta il tabù della morte. E lo fa con leggerezza, intelligenza e con coraggio. Perché se «a invecchiare non ti insegna nessuno» lo stesso vale per l’accettare di dover morire.

Rita e Ambrogio sono sposati da più di 40 anni. Li vediamo andare al funerale di un amico caro. Dove, tra brontolii e discussioni, arrivano in anticipo di quasi due ore. Potrebbero rendere omaggio alla salma, ma lui non ne vuole sapere. Mentre lei insiste. E proprio dai loro litigi (pieni di affetto) emergono i due modi di affrontare l’idea della fine. Giacomo-Ambrogio non ne vuole parlare, non vuol neppure pronunciare la parola “funerale”, la morte lo terrorizza, come solo sa terrorizzare gli anziani. Daniela-Rita invece ne vuole parlare, eccome. Proprio come ne parlano gli anziani, curiosi, intimoriti, rassegnati e speranzosi. Battibeccheranno tutto il tempo, lui a sfuggire dalla realtà e lei a cercare di riportarcelo.

Funeral House è uno spettacolo che ha il sapore della poesia. «Portiamo in scena la paura più radicata nel cuore dell’uomo» ha detto Poretti in un’intervista. «La vita è così bella che tutti noi vorremmo non finisse mai. Cerchiamo di prolungarla, di renderla migliore, illudendoci di esserne padroni. La società in cui viviamo ci vuole eternamente giovani, aitanti, possibilmente senza rughe. E più o meno consapevolmente esorcizziamo il momento in cui l’esistenza finirà e dovremo interrogarci – se non l’abbiamo fatto prima – su quello che c’è “dopo”. Ammesso che ci sia un “dopo”, perché molti pensano che tutto finisca quando chiudiamo gli occhi e il cuore smette di battere».

Poretti Funeral Home
Daniela Cristofori e Giacomo Poretti sul palco del Teatro Oscar a Milano

A dare forza al racconto, si avverte il confronto con la sofferenza che Poretti ha vissuto negli undici anni di lavoro come infermiere all’ospedale di Legnano. Un’esperienza che era diventata lo spettacolo teatrale Chiedimi se sono di turno. E che Poretti bene ha raccontato nel suo recentissimo libro Turno di notte (Mondadori).

Funeral Home scritto e interpretato da Daniela Cristofori e Giacomo Poretti; regia di Marco Zoppello; produzione Teatro de Gli Incamminati/deSidera Teatro. La prima nazionale è andata in scena al Teatro Oscar di Milano, di cui Poretti, insieme a Luca Doninelli e Gabriele Allevi, è direttore artistico.

Credito foto in apertura: Serena Pea

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L'albero Lombezzi Tertulliano
Camilla Violante Scheller, Alice Bignone e Ermanno Rovella protagonisti de L’Albero, allo Spazio Tertulliano di Milano @Céline Lando

«Ho scritto questo spettacolo perché ho paura di invecchiare. Mi trovo spesso a chiedermi quando una persona viene classificata come anziana, quali siano le avvisaglie e cosa questo comporti, per la persona stessa e per chi le sta accanto. Mia madre una volta mi ha detto: “Quando in casa compare il termine cataratta, vuol dire che i tuoi genitori sono diventati anziani”». Così Giulia Lombezzi, autrice e regista de L’albero, racconta come è nato lo spettacolo che allo Spazio Tertulliano di Milano ha messo in scena la storia di una mamma che si perde nella demenza e di una figlia che deve affrontare la necessità dolorosa di ricoverarla in una struttura protetta. Sul palco Camilla Violante Scheller, Alice Bignone e Ermanno Rovella, rispettivamente nei ruoli di Anna la mamma, Marcella la figlia e Martino, l’infermiere della residenza per anziani.

«L’Albero è la storia di mia nonna» spiega Giulia Lombezzi. «Di come si dice addio a se stessi. Di chi ogni giorno vede gente guastarsi e di chi non accetta che a guastarsi sia la propria famiglia. Sembra una storia molto triste, invece, come molte storie tristi, è decisamente tragicomica».

Lo smarrimento di Anna è ben rappresentato in scena dalla sua lunghissima veste bianca, che si fa rifugio, contenzione, ali. «Una veste che racconta l’essere fisicamente in balìa» dice Lombezzi, «il venire spinti e tirati, il trovarsi improvvisamente privi di poteri decisionali sulla propria giornata, la propria favella, il proprio corpo. Il gioco del tenersi, nascondersi e costringersi è il cuore di tutta la storia, l’emblema dei legami che costituiscono una famiglia, l’insieme delle maniere in cui dipendiamo gli uni dagli altri e ci teniamo stretti, nel senso buono e anche in quello cattivo».

L’Albero, scritto e diretto da Giulia Lombezzi con Alice Bignone, Ermanno Rovella, Camilla Violante Scheller. Disegno luci Fabrizio Visconti, movimenti scenici Franco Reffo, costumi Donatella Cianchetti. Fino al 17 dicembre, biglietti qui

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