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Enia: il teatro deve fare i conti con il trauma della pandemia

«I Madrigali di rivolta sono canti e cunti intrisi di rabbia e disperazione, in cui i vivi e i morti intessono un dialogo partendo da una constatazione: la violenza è il linguaggio comune e sotto il cielo ci si scanna consegnandosi all’odio. Sono canti di lutto come parti necessarie di un allenamento inesausto per non soccombere nella battaglia, parole e note che contrattaccano per intercettare uno scintillio di luce in fondo alla sconfitta, cunti che non si arrendono e vibrano di felicità nello schianto. Il Regno dei cieli è un granello di senape. L’incendio germoglia sempre da una scintilla». Così Davide Enia racconta il suo ultimo spettacolo, una produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, che ha scritto e che interpreta accompagnato dalle musiche di Giulio Barocchieri.

Curiosa di scoprire come si può contrattaccare per intercettare uno scintillio di luce, sono andata a vedere Madrigali di rivolta in una delle repliche nel chiostro Nina Vinchi a Milano.

Così ho ascoltato canti e cunti (cunto è un’arcaica forma di racconto in dialetto siciliano, dalle antichissime origini greche) che parlano della vita e della morte e della relazione invisibile e indecifrabile tra chi ancora c’è e chi non c’è più. Il madrigale è il canto nella lingua madre, delle radici, dell’invocazione. Davide Enia, palermitano, ha recuperato la tradizione per ribaltarla, raccontando storie lontanissime tra loro ma che molto hanno in comune.

In Madrigali di rivolta c’è un antico cunto in cui Gesù è molto arrabbiato con il mondo, vorrebbe distruggerlo. Allora interviene la Madonna che lo placa, salvando l’umanità. «Noi l’abbiamo preso e l’abbiamo rovesciato» ha spiegato Enia. «È la Madonna a non poterne più dello schifo della terra. La Madonna che al figlio crocefisso chiede: “Vuoi davvero salvare questa gente?”, mentre si accorge che non esiste parola per definire il dolore più grande. “Vedovo è quello a cui muore il coniuge, orfano è chi perde il genitore. Ma non c’è parola per una madre a cui muore il figlio”».

C’è il canto dei migranti che, nel Mediterraneo, supplicano di non essere riportati in Libia. Su quella barca c’è il ragazzo che non dorme da un anno, da quando ha visto, in uno dei tanti lager libici, dar fuoco a due come lui perché tutti gli altri capissero cosa sarebbe accaduto a chi non avesse pagato il riscatto. Su quella barca c’è una donna che ha in braccio il suo bambino e racconta lo stupro subìto nel lager insieme ad altre quando era ancora incinta e nonostante la difesa eroica di un giovane mai visto prima.

E c’è anche il canto del lockdown che ha stravolto le vite. «Durante l’anno di silenzio io parlavo con i morti, che è come quando si guarda le stelle, corpi celesti esplosi milioni di anni fa» dice Enia. «Parlavo con mio nonno del Maggio ’43, e con Pablito, Paolo Rossi, di Italia-Brasile 3-2». (Maggio ’43 e Italia-Brasile 3-2 sono testi di Enia pubblicati da Sellerio, portati poi a teatro. Il primo racconta i bombardamenti che distrussero Palermo nel 1943 prima dello sbarco degli Alleati, il secondo riti, scaramanzie, esaltazioni, depressioni, imprecazioni e devozioni di un gruppo di parenti e amici che segue l’incontro mondiale del 5 luglio 1982).

«Devo raccontare ciò che mi fa male». Davide Enia lo grida sul palco, così come aveva detto anche in un’intervista a margine dello spettacolo: «La pandemia ci sta offrendo la possibilità di fare tabula rasa, sarebbe suicida ricominciare da dove eravamo rimasti come se non fosse successo nulla. Quanto accaduto ha avuto un fortissimo impatto traumatico su tutto e su tutti, ma come prima reazione assistiamo a una rimozione sfrontata. Il trauma della pandemia va affrontato. Non si può non capire che l’alternativa è l’esplosione di un conflitto sociale violentissimo. Non sono un indovino, basta riportare lo sguardo sul reale. Madrigali di rivolta parla del non farcela più, di battaglie, di vergogna, di miseria, di rabbia. Se il teatro non fa i conti con questo trauma, il suo crollo sarà verticale».

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