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Allonsanfàn
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Il Maestro e il Commediografo. Sorrentino e Muccino uniti dagli insulti del web

Il Maestro e il Commediografo si spartiscono su Netflix e Sky le spoglie del cinema italiano che fu. Ho capito questo all’improvviso. Cioè: se il Maestro Sorrentino fellineggia coi pochi capelli al vento, sornione e autorale, il Commediografo Muccino si arrabatta tentando la sintesi sempre più scoperta, mentre srotola la sua metaforica pellicola, tra vecchia commedia all’italiana e quella semi nuova dei Vanzina. Oggi, forse, si avverte di più il “sapore di mare” stagnante della seconda.

Comunque. Il Maestro si occupa essenzialmente del suo ego, dell’Italia come mito e dei topoi di un grande sogno fattosi cinema (o viceversa); il Commediografo invece ha per tema prediletto tutto il resto meno la politica (non è più tempo): filma la famiglia italiana.

Tra amori e amorazzi, corna e acchiappi, colpi di fulmine e liti a pesci in faccia, tra divorzi e tregue più o meno armate, partenze sessuali sprint e approdi stracchi, si dibattono i suoi borghesi velleitari e già scassati, costantemente in lotta per un ultimo bacio (fosse pure tra parenti) con in fondo, schierati là, i figli piccoli – ah il futuro! – i cuccioli che guardano perplessi, mimando nei confronti dei grandi o dei mezzi grandi lo stupore dell’innocenza. Il Commediografo, il quale sa bene di essere un peccatore, tutte le volte spera un po’ in loro per far ripartire l’eterno ritorno del suo asfittico mondo romano.

Ho pensato a ciò guardando il serial che Muccino ha chiamato nello stesso modo di un recente film, A casa tutti bene (2018), travasando dal prototipo nel prodotto tv il titolo, alcuni caratteri e la centralità di un prestigioso ristorante, attorno a cui si gioca oggi in streaming il destino di due famiglie (appunto), i Restuccia e i Mariani, legati da un passato che nasconde qualcosa di losco – come in tutte le migliori famiglie, no?

È stata la mano di Dio di Sorrentino

Lontano dal periodo americano – mica ce l’ha soltanto il Maestro – dedicato in buona misura a favole di genitori e figli infanti, qui il Commediografo gioca (to play) sul sicuro, narrando di un patriarca e – forse sentendone la nostalgia – di una gioventù trenta/quarantenne, incasinata e irrisolta, in cui Muccino si rivede e che reimpacchetta in esergo con la consueta canzone sfiatata di un anziano Jovanotti. Non ha travasato invece nella serie i soliti sodali (Favino, Accorsi, ecc. ecc.), scegliendo per le 8 puntate tipi più giovani (salvo Laura Morante) e carini, che vanno benissimo lo stesso a inpersonare dei cliché.

Per concludere. Sul web si leggono insulti feroci sia al Maestro – che oggi abbiamo lasciato in pace sul suo piedestallo, mentre elabora in È stata la mano di Dio antichi lutti napoletani – sia al Commediografo. Non ci uniamo al coro, anche per noia. Del Muccino seriale su Sky salviamo la telecamera da fotoromanzo chic che accarezza i personaggi quando li segue emotivamente per le sale del ristò e lo danniamo per le troppe scene madri e per gli attori troppo slavati dal computer in cupi flashback alla Dario Argento. Ma il prodotto in fondo tiene e si può vedere, tutto di fila, in fondo siamo in pandemia.

Nella foto in alto, un frame di A casa tutti bene di Muccino

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