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Allonsanfàn
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Non solo Falcone e Borsellino: 1992 anno oscuro

Sono passati trent’anni da quei due tragici pomeriggi di maggio e di luglio. E in questi giorni tanti celebrano, in maniera più o meno ipocrita, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Io credo però che occorra raccontare anche quello che è successo prima e dopo, in quell’anno complicato e drammatico.

Il 17 febbraio viene arrestato un tal Mario Chiesa, socialista, presidente di un’importante casa di riposo milanese, mentre intasca una tangente di sette milioni di lire da un imprenditore che vuole gli venga assegnato l’appalto della gestione delle pulizie nell’istituto. Sinceramente non ricordo quanto mi colpì allora questa notizia di cronaca; probabilmente molto poco. In quei giorni ci stavamo preparando alle elezioni politiche della primavera, le prime per il Pds, che era nato da poco più di anno, seppur dopo un lungo travaglio.

Il presidente Cossiga, al termine del suo periodo da “picconatore”, ha sciolto le Camere il 2 febbraio. Perché quell’arresto, proprio quell’arresto, ha scatenato quella reazione? Nella storia dell’Italia repubblicana erano già scoppiati altri scandali, con protagonisti ben più importanti di Mario Chiesa, eppure non era successo nulla; c’erano state dimissioni, si era dimesso perfino un presidente della Repubblica per vicende legate a finanziamenti occulti, ma in quelle occasioni non è mai crollato il sistema politico. Poi c’è stato il 1992 e la storia è cambiata. All’improvviso.

La tesi prevalente è stata che le richieste dei politici erano diventate così esose da risultare non solo eticamente intollerabili – e si sa che l’etica non è mai molto ascoltata in questo paese – ma soprattutto economicamente insostenibili da parte degli imprenditori: a furia di tirare, la corda si sarebbe spezzata, proprio nel febbraio del ’92. È una tesi che non mi ha mai davvero convinto. Questa interpretazione si reggeva – e a sua volta giustificava – un’altra tesi allora prevalente, ossia che in Italia si contrapponessero una classe politica incapace e corrotta e una società civile incolpevole e vessata.

Da una parte c’erano i politici concussori e dall’altra gli imprenditori concussi. Troppo comodo e troppo autoassolutorio. Gli imprenditori italiani in genere, pur professandosi strenui assertori del liberismo, faticavano – e faticano – ad accettare le regole del mercato, non amavano la concorrenza e, appena ne avevano l’occasione, cercavano di eliminare ogni rischio d’impresa. In troppi casi e in troppi settori gli appalti non erano – e non sono – basati sulla regola che vince chi fa l’offerta migliore, ma su accordi di cartello. Il debito pubblico italiano si è generato soprattutto per questo meccanismo, che ha fatto lievitare i prezzi delle forniture e della realizzazione delle opere pubbliche. Nelle regioni del sud questo sistema è diventato anche il modo per finanziare la criminalità organizzata.

In sostanza i soldi delle tangenti non venivano dalle tasche degli imprenditori, ma direttamente dall’erario. Era – ed è – l’Italia delle corporazioni, degli ordini, delle tariffe garantite, delle licenze contingentate e così via, un’Italia che noi, quando siamo andati al governo, abbiamo solo blandamente affrontato, finendo per piegarci alla sua forza.

Torniamo all’Italia del 1992. Eravamo in piena crisi economica. Per mettere in sicurezza i conti pubblici il governo Amato fu costretto, l’11 luglio, a emanare un decreto da 30mila miliardi di lire, in cui, tra gli altri provvedimenti, si decide il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti bancari. Il 13 settembre Amato annuncia in televisione la svalutazione della lira. L’inflazione stava salendo, la Fiat annuncia un vasto piano di prepensionamenti e molte aziende chiedevano di attivare la cassa integrazione.

E anche il sistema politico italiano è ormai in crisi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Nel giugno del 1991 c’è stato il referendum sull’abolizione della preferenza multipla alle elezioni; alle urne si è recato il 65% degli italiani e il referendum è passato con il 95,6% di sì. È un voto di sfiducia verso i partiti. Il mondo intanto era radicalmente cambiato. La fine del Pci, anche se non ci fosse stata l’inchiesta di Mani pulite, avrebbe inevitabilmente portato alla fine della Democrazia Cristiana e quindi alla fine dell’equilibrio sociale di cui questo partito, espressione della maggioranza della classe dirigente italiana, si era fatto garante.

Permettetemi un ricordo personale. Io ero stato eletto in Consiglio comunale a Granarolo nel 1990 nella lista del Pci. Alla fine di quel mandato, cinque anni dopo, non c’erano più né il Pci, né la Dc, né il Psi, come era sempre avvenuto dalle elezioni del 1948. I tre grandi partiti della storia italiana avevano chiuso in cinque anni. Nel ’92 si percepiva che la prossima fine della Dc, ossia dell’unità politica dei cattolici, avrebbe significato la fine del sistema che garantiva ad alcuni il mantenimento dei loro privilegi.

12/3/1992. L’omicidio di Salvo Lima

C’è una costante nella storia dell’Italia repubblicana: non appena sono in vista dei possibili cambiamenti ci sono forze, più o meno occulte, che si incaricano di frenare questi cambiamenti. Purtroppo è sempre avvenuto in maniera drammatica, dall’eccidio di Portella della Ginestra ai morti di Reggio Emilia, dalla strage di piazza Fontana all’uccisione di Aldo Moro. Io non sono un “complottista” e so che dietro questi avvenimenti, che hanno matrici e storie molto diverse, non c’è un’unica regia, non esiste il “grande vecchio”, troppe volte evocato per spiegare i molti misteri italiani. Il risultato però è inequivocabile: sono momenti che hanno segnato un arretramento o quantomeno non hanno permesso l’affermarsi di elementi di cambiamento che erano presenti nella società.

Nel 1992 qualcosa stava per cambiare, francamente non so dire se in meglio o in peggio – la situazione era molto confusa – comunque si percepiva che eravamo a una svolta. E, come è sempre avvenuto, si è messa in moto quella parte della società che teme i cambiamenti, perché rischia di perdere i propri privilegi. Anche qui, ripeto per non essere frainteso, non voglio dire che ci sia stata una regia “occulta” che ha manovrato una parte della magistratura, la grande stampa, i tanti attori sociali coinvolti, ma mi limito a misurarne gli effetti. C’era un’aria di cambiamento nel paese, sinceramente vissuta e spontanea, che si espresse appunto nel referendum del ’91 e anche nel risultato delle elezioni politiche del ’92, che hanno segnato un risultato molto negativo per la Dc e un arretramento del Psi, e l’affermarsi di alcune forze nuove, di stampo molto diverso, dalla Lega alla Rete.

Nel 1992 qualcosa stava per cambiare, la situazione era molto confusa, ma si percepiva che eravamo a una svolta. E, come è sempre avvenuto, si è messa in moto quella parte della società che teme i cambiamenti, perché rischia di perdere i propri privilegi

Personalmente penso che Mani pulite sia scoppiata proprio allora perché quell’Italia che ho descritto prima, l’Italia degli imprenditori poco coraggiosi, l’Italia delle mille corporazioni, l’Italia – chiamiamola per comodità – dei “profittatori”, non si è più sentita garantita da quella classe politica che fino ad allora aveva tollerato, ma anche contribuito a gestire, ad esempio attraverso il sistema tutto italiano delle partecipazioni statali, questo iperprotetto sistema economico.

Era la Dc che garantiva alla perfezione questo sistema, ma appunto la Dc stava per sgretolarsi. Il Psi non avrebbe potuto sostituirsi ad essa, come forse Craxi sperava, in parte perché il giudizio dell’opinione pubblica verso il Psi non era affatto positivo, ma soprattutto perché i grandi poteri non si fidavano affatto del segretario socialista, che aveva dato prova in diverse occasioni di un coraggio e di una capacità di decisione autonoma che spaventava quei mondi, abituati alla duttilità dei notabili democristiani. Anche altri non si sono sentiti più garantiti, per ragioni diverse, da un sistema politico che stava franando, penso ai cosiddetti “boiardi” di stato, ai manager delle grandi aziende pubbliche che in quei mesi hanno pensato che era arrivato il tempo di affrancarsi dai loro “padrini” politici ormai in declino, tanto più che era in atto un massiccio piano di privatizzazioni, i cui protagonisti furono i soliti noti riuniti nel consiglio di Mediobanca.

Si è mossa infine la più grande azienda italiana per fatturato e penetrazione sociale, la mafia: anch’essa in quella stagione sentiva che qualcosa stava succedendo. Il 12 marzo viene ucciso Salvo Lima, fino ad allora il maggior referente della mafia all’interno della Dc. E questo omicidio è stato perfino più importante di quelli di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, anche se non abbiamo “celebrato” questo trentennale. Poi nel ’93 c’è stata la stagione delle bombe mafiose, a Firenze, a Roma, a Milano, segno che la criminalità organizzata dal sud era pronta ad alzare la voce a livello nazionale.

C’è un’altra data del 1992 che merita di essere ricordata: il 29 ottobre viene ratificato in Italia il Trattato di Maastricht sull’unione monetaria. Chi sapeva, chi conosceva bene le cose, sapeva anche che da quel momento le “anomalie” italiane, su cui si era costruita la storia del paese nei decenni precedenti, sarebbero in qualche modo state ricondotte all’interno di parametri ben definiti e difficili da eludere. Il potere non era più in mano a quelli che lo avevano sempre gestito. Passata la tempesta del ’92 e del ’93, questi interessi si sono messi in moto nel ’94 per trovare una soluzione politica alla crisi. E la soluzione è stata Silvio Berlusconi. Ma qui comincia un’altra storia.

  • Luca Billi è noto sul web anche con il nome di Protagoras Abderites. Trovate un intero vocabolario delle sue storie, qui. Ha appena pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni)

Credit: via Giovanni Falcone e Paolo Borsellino by Federico Scorzoni is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

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