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Allonsanfàn
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Black Phone. Un telefono nero per scappare da The Grabber

Vedi alla voce The Grabber, child kidnapper e serial murderer, ovvero Ethan Hawke segnato forse da una perversa interiorizzazione dei rapporti adulto-bambino e munito di una demoniaca maschera scomponibile – secondo alcuni ispirata al Lon Chaney di London After Midnight. Violentissimo e illeggibile nell’animo buio, The Grabber, da noi il Rapace, circola con un furgone da clown professionista da cui si sprigiona un lugubre volo di palloncini neri. È di certo, dategli un occhio, uno dei più iconici villain delle recenti stagioni dell’horror.

L’ultimo ragazzino che rapisce, Finney, un adolescente tipico anzi medio e mediocre, cioè pronto, già lo intuiamo, a una crescita con riscossa, è tenuto prigioniero di un nudo scantinato dove spicca un vecchio e scassato telefono da muro – siamo in una cittadina del Colorado, nel 1978, niente cellulari.

Quando il black phone inizia inopinatamente a squillare, Finney insieme allo static noise scopre di poter sentire brandelli di voci delle precedenti vittime dell’assassino. Tutte decise a fare in modo che ciò che è successo a loro non accada a Finney. Ma è sogno, delirio o realtà? Mai lo sapremo.

Il mediocre Finney (Mason Thames) e la sua sorellina Gwen, una giudiziosa e incantevole Madeleine McGraw, vantano però una dote di shining succhiata insieme al latte materno. Gwen, dopo aver pregato, può divinare in sogno la realtà e – applauso al regista, di cui diremo – sogna filmini in 8mm, dalla classica e struggente pellicola granulosa.

Il film, di cui avete già intuito i temi principali – comprendenti pure bullismo e molestie famigliari: verranno però tutti accennati e glissati via con ellittica classe, senza le solite lezioni psicoanalitiche, nella tensione costante e quasi senza sfogo del racconto – il film, dicevamo, è l’adattamento di un tale del 2004 The Black Phone, scritto da Joe Hill, e presente nella raccolta Ghosts. Hill altri non è che Joseph Hillström King, figlio di cotanto padre, ed è bravo anche in formato graphic novel.

Ci pare però giusto dire che il 99 per cento dei complimenti, anche per i filmini in 8 mm che sono un suo trade mark, ma soprattutto per l’elegante e davvero tesissima confezione dell’incubo, se li merita Scott Derrickson (Denver, 1996), abile regista di paura e di fantascienza, che ha girato per la premiata Blumhouse. Sempre per Blumhouse aveva fatto il botto nel 2012 con Sinister, sempre con Ethan Hawke. Di fronte a questo spaventoso ritorno “a casa”, sono benedette le incomprensioni varie che gli hanno fatto lasciare l’universo Marvel dopo aver diretto nel 2016 Doctor Strange.

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