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Tessiture di sogno. Il viaggio di W.G. Sebald in Corsica

Winfried Georg Sebald è morto troppo presto, in un incidente d’auto nel dicembre del 2001, perché noi (inteso come noi lettori o noi fans del mondo intero) potessimo capirlo appieno, appropriarcene, servirci in qualche modo di lui e della sua arte – a tratti oscura anche se tutt’altro che esoterica – dopo aver letto per esempio le esistenze raminghe de Gli emigrati o essere entrati nelle geometrie della Salle des pas perdus della stazione di Anversa in Austerlitz, entrambi libri editi da Adelphi.

Sebald, in tutti i suoi romanzi, pardon in tutte le sue prose, ha camminato per l’Europa al posto nostro, seguendo il continente scomparso della memoria, proponendo la ricerca del tempo perduto più radicale e inedita – e a tratti insopportabile per chi la persegue, vedi per esempio le pagine milanesi di Vertigini (Adelphi) e ovunque in Sebald lo spazio e il tempo si mescolino e quest’ultimo faccia precipitare il narratore verso il passato come se cadesse da una torre altissima – dopo la recherche confessionale di Marcel Proust.

Un critico amico mi ha detto una volta che “Sebald girava a cazzo e scriveva quello che gli andava” e io gli misi giù il telefono anche se forse aveva ragione, perché a volte la disperazione di Sebald fa pensare, come in Thomas Bernhard, a una forma coatta ed estrema di civetteria. Un altro amico scrittore, invece, studiava su una cartina geografica (dell’anima) le mosse del grande irregolare tedesco come se fossero un messaggio cifrato diretto a tutti gli irregolari del globo, e aveva di certo molto più ragione. Tutti gli irregolari drizzano le antenne all’incipit di Austerlitz, dove il narratore racconta di recarsi spesso dall’Inghilterra al Belgio, ad Anversa, in parte per motivi di studio e in parte per motivi a lui stesso non chiari.

Attorno al Campo Santo

Oggi apro Tessiture di sogno, fresco di stampa in Italia, ma già uscito in edizione originale nel 2002 come Campo SantoRitrovo il segno del camminare e dello scrivere di Sebald, mentre leggo con nostalgia queste che sono le sue ultime pagine narrative, un viaggio in Corsica diviso in quattro prose, una lunga come una cartolina, indipendenti tra loro (erano già state anticipate nel 2011 con il titolo Le Alpi nel mare nella Biblioteca Minima).

Tessiture di sogno raccoglie poi una serie di pezzi di critica letteraria e di scritti d’occasione risalenti anche a molto tempo fa – questo se gli anni Settanta del secolo scorso sono “molto tempo fa” – che diventano, passando da Handke a Nabokov, da Weiss a Chatwin, meno specialistici e più letterariamente riconoscibili negli anni Novanta quando Sebald sta scrivendo le sue opere maggiori.

Le prose còrse sono brevi e incomplete nel disegno, composte prima di Austerlitz, con una sola delle foto o delle immagini attraverso cui Sebald completava o rendeva spiazzanti i suoi testi, ma sono puro Sebald. In Campo Santo, per esempio, una semplice passeggiata al cimitero di Piana si tramuta in una riflessione antropologica sul rapporto tra gli isolani e i loro morti, e tra i vivi e i morti tout court. Nell’allentarsi dei confini e delle soglie di coscienza, il paesaggio si inselvatichisce battuto quasi militarmente dai membri di una vendicativa cumpagnia di trapassati, oppure si apre alle incursioni notturne degli acciatori, sorta di “cacciatori onirici”, fino a contemplare la presenza di veri e propri zombie, riconoscibili ovunque, non solo in Corsica, dai loro lineamenti: tremano come quelli degli attori nei vecchi film (vedi anche dopo, il saggio Kafka e il cinema).

Il viaggio ad Ajaccio, la visita al museo di Napoleone, la dissertazione sulla violenza guerresca e omertosa dei cacciatori – equiparati per visione alle bande in conflitto nella ex Jugoslavia – ma soprattutto la scoperta di un confuso e anzi confusivo legame con gli scomparsi, potrebbero far parte di un pellegrinaggio in qualche modo mistico che mistico non è affatto. Sebald (credo) cerca soltanto e sempre le ignote ragioni e le sconosciute traiettorie della storia, pur sapendo che la storia, come forse la sua arte, gli offrirà al massimo del conforto un senso di déjà-vu.

À quoi bon la littérature? “Vi sono molte forme di scrittura, ma è solo in quella letteraria che si può procedere, al di là della registrazione dei fatti e al di là della scienza, a un tentativo di restituzione”, ricopio da Un tentativo di restituzione, appunto, articolo sullo Stuttgarter Zeitung del 18 novembre 2001, raccolto in Tessiture di sogno: le carte illustrate di un gioco infantile e un viaggio di Hölderlin vicino al crollo psichico si combinano senza apparente sforzo d’incastro al panorama di luci di un’industria tedesca e al nero di un giorno di rappresaglia.

W.G. Sebald

L’uomo senza patria

Ricordo di aver trovato in Vertigini la foto di un conto pagato in una trattoria di Verona, mentre mi trovavo proprio a Verona, e di averla osservata a lungo neanche fosse un reperto di suolo marziano. Portare il lettore a guardare le cose note da un altro punto di vista, come per la prima volta, ecco una magia di Winfried Georg Sebald, uomo senza patria che ha scelto di vivere in Inghilterra, lasciando presto la Germania sconosciuta in cui era nato nel 1944 (vedi Il discorso di presentazione all’Accademia tedesca… e il già citato Un tentativo di restituzione). Da expat nato nelle Alpi bavaresi e recando addosso un senso quasi di impostura – lo stesso che in Storia nazionale della distruzione (Adelphi 2004) attribuisce agli scrittori tedeschi del dopoguerra, dedicando un saggio spietato ad Alfred Andersch – Sebald, dicevamo, ha preso invece percorsi da sonnambulo ed è andato per le strade dei fantasmi, accettando il gioco al massacro del tempo, dell’appartenenza e della perdita, ovunque abbia camminato.

Il rapporto mai pacificato con la Germania è evidente nella difficoltà a trovare vie d’uscita percorribili con la parola quando ricorda in un testo del 1988 la terribile vicenda di Jean Améry, scrittore austriaco, superstite dei campi. Sebald ripercorre i temi su cui stava lavorando e ha lavorato per anni: “distruzione, lutto, ricordo”, elenca Sven Meyer, che ha curato Tessiture da sogno.

Nel corso del tempo (1975) di Wenders

Al cinema con Kafka

Tra gli scritti di critica del libro, un paio già apparsi, mi sono fermato su uno dei due testi dedicati a Franz Kafka. Kafka al cinema mi ha colpito, anche perché prende spunto da Nel corso del tempo di Wim Wenders – non a caso il regista che rivoluzionò l’idea stessa del Wanderer presso la mia generazione. Il saggio parla del rapporto tra il praghese e i film prendendo spunto da un libro di Hanns Zischler, che era uno dei due protagonisti del capolavoro wendersiano (non credete che lo sia? Amen).

Il cinema, nota Sebald, era congeniale a Kafka perché, in qualche modo, e anche da un punto di vista sociale, rappresentava e disciplinava la scomparsa dell’uomo nel mondo delle ombre. Compie nella pratica quello che Kafka fa nella sua pagina, quello che Sebald farà nelle sue, al contrario, cercando di addomesticare le ombre o di adattarsi a loro – entrando senza paura nel Nocturama – con la forza della gentilezza (anche) e dell’ossessione, con l’istinto del grande scrittore in bilico sulle macerie di un’immensa cultura e di una guerra solo apparentemente lontana.

Scriveva Sebald in Austerlitz a proposito dei suoi pellegrinaggi nei luoghi dell’alienazione (quanti ne abbiamo letti e ascoltati, ormai, di pellegrinaggi fatti da vagabondi improvvisati o per mestiere, e quanti non ci hanno fatto la minima paura, sembrando compitini poetici da podcast di fine estate): “Sovente mi sono chiesto se il dolore e le sofferenze lì accumulatisi nei secoli siano davvero passati o se ancor oggi non ci accada di attraversarli nei nostri giri per gli atri e sulle scale, come credo di avvertire da una corrente gelida che mi lambisce la fronte”… Buon viaggio sempre W.G. Sebald.

Tessiture di sogno è tradotto da Ada Vigliani

In apertura. Un particolare dell’immagine riprodotta a pag. 50

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