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Allonsanfàn
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Margini. Tre ragazzi punk perduti dalle parti di Grosseto

Margini, bel titolo per una storia punk. Il punk che in Italia, anzi in provincia, a Grosseto, non a Londra e Berlino, nel 2008 non è scomparso, ma seppure in variante “debole”, maremmana, è un valore di vita per tre ragazzi (due ragazzi e un uomo con moglie e figlia piccola), che sono ragazzi a modo loro contro.

I tre suonano in una piccola band, tirano a campare tra madri premurose, padri assenti, adulti in genere stolidi – quasi macchiette di un’Italia profonda e anestetizzata dalla noia e dal tirare a campare – sognano un concerto da opener con una mitica banda punk americana (gli immaginari Defense), e quando la data salta, decidono di portare loro gli americani a Grosseto. Organizzeranno tutto.

Già. A Grosseto, ma dove? Il senso della provincia che ci arriva in 91 minuti di film è un deserto, interrotto da dubbie oasi di brutti edifici commerciali, ai quali connettersi salendo su utilitarie scassate in cui sentire a manetta pezzi hardcore.

Dove si possono fare suonare questi fottuti Defense, che oltretutto rischiano di rivelarsi degli sbafatori a ufo e dei rompicoglioni? Magari nella sala da ballo del patrigno di uno dei tre ragazzi, che vive di liscio e ha come pezzo scaldasala l’eterno Rock’n’roll robot di Arlecchino Camerini… (tra parentesi: era un capolavoro e Camerini sapeva fare live Sheena dei Ramones).

Comunque. Non starò a dirvi che il film è piccolo e simpatico (aggettivo pericoloso: simpatico non vuol dire paraculo) e senza vezzi vecchi e nuovi – come il buttare tutto in commediaccia alla Ovosodo di Virzì o nell’esistenzialismo trash da centro sociale.

Il senso della storia, lo sintetizza bene il regista debuttante (nel lungometraggio) Niccolò Falsetti, che ha scritto la sceneggiatura con uno degli attori, Francesco Turbanti, e con Tommaso Renzoni : “I paradossi della vita di provincia trasformano ogni dettaglio in un problema insormontabile, mettendo in discussione la riuscita dell’impresa ma soprattutto ciò a cui i tre tengono di più: la loro amicizia”. E se è per questo pure il rapporto famigliare tra il batterista, la figlia piccola, e la sua ragazza (Silvia d’Amico brava come al solito) che sta alla cassa del supermercato.

Falsetti, classe 1987, negli ultimi anni ha lavorato come regista di seconda unità con i Manetti Bros. (qui produttori) sia sulla trilogia di Diabolik sia sulla serie tv L’ispettore Coliandro. Ha scritto un romanzo Forse cercavi (Mondadori) e ha lavorato come autore e filmmaker con il collettivo ZERØ. Ha la mano svelta e ferma nel tracciare una serie di scene sospese tra esaltazione e depressione, chiudendole sempre prima che ci si legga davvero una morale e, alla fine, non è scevro da una certa tenerezza.

Tipo questa. Ancora Falsetti, con Trambusti: “Avete presente quando si torna da un concerto con ancora tutto il casino in testa?Noi si tornava da Roma, da Firenze, da Bologna ancora carichi dalla sera prima, per il pogo e per la band che aveva suonato e non vedevamo l’ora di chiuderci in sala prove per scrivere quel nuovo pezzo di cui s’era chiacchierato in viaggio. Eravamo sempre a mille. Poi si scendeva dal treno, uscivamo nel piazzale della stazione di Grosseto e intorno a noi, lì, a casa nostra, c’era quella strana, disturbante, tranquillità. E la sensazione che non sarebbe mai successo niente. Ecco, abbiamo sempre percepito quel momento come un cortocircuito, una collisione di mondi, una situazione che ci faceva sentire fuori luogo, consolato solo dalla consapevolezza che prima o poi, da quel posto, ce ne saremmo andati”. Margini è in concorso nella Settimana Internazionale della Critica di Venezia e sarà nelle sale dal 7 settembre, distribuito da Fandango.

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