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Allonsanfàn
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Moby Prince su RaiPlay. Quando lo Stato è nemico dei cittadini

Il traghetto è partito, ma quando è tornato in porto non era più lui. Perché è bruciato lì, in mezzo al mare a poche miglia dalla costa. E dei 141 passeggeri a terra ne è tornato solo uno. È la storia della Moby Prince, vicenda sottovalutata perché troppe sono state le tragedie di questo Paese. E forse perché in molti, troppi, anch’io, l’hanno derubricato a evento fortuito, caso di tragica cronaca. E invece no, invece è un’altra puntata della serie “Lo Stato nemico dei cittadini”. Una serie con troppi episodi. Il documentario Il mistero Moby Prince su RaiPlay racconta la vicenda del 10 aprile 1991 quando il traghetto della Nav.Ar.Ma. entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. In molti ricordano che fu la fitta nebbia la causa principale dell’incidente, solo che la nebbia non c’era. Quella sera la visibilità era eccellente. L’unico elemento strano era il fumo che usciva dalla petroliera e un traffico di navi militari, altre imbarcazioni sconosciute, una ufficialmente è un peschereccio ma in realtà altre indagini hanno accertato che trasportava anche armi, e pilotine sulle quali aleggia il sospetto del contrabbando. Il comandante Ugo Chessa, uomo di provata esperienza, capisce che c’è qualcosa che non va, troppo traffico, avvisa passeggeri ed equipaggio di rifugiarsi in una sala della nave dove molti saranno trovati morti, con le valige in mano e il salvagente indossato. Pensa di tornare in porto. Ma non ci riesce. Il traghetto ha la sua rotta, ma improvvisamente devia e punta verso la petroliera. È lo scontro, l’incendio, ma nessuno interverrà per ore. I passeggeri moriranno lentamente. Cosa è successo? La verità non c’è ancora, ma il lavoro della Commissione parlamentare di inchiesta – a volte le commissioni servono e lo Stato è amico dei cittadini – ha dato alcune risposte.

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Prima di tutto c’è stata l’ammissione che per anni ci si è scontrati “con un muro di silenzio e verità giudiziarie che non erano tali, non corrispondevano alla verità”. Poi. La nebbia a Livorno quella sera non c’era, i “tempi di sopravvivenza a bordo non furono quelli descritti in alcune sentenze che parlavano di mezz’ora e la gestione dei soccorsi non fu tempestiva né efficace”. E infine, il cambio di rotta improvviso della Moby Prince è stato provocato dalla improvvisa comparsa di una terza nave della quale non è stata accertata l’identità. Un ex peschereccio battente bandiera somala o una bettolina forse impegnata in attività clandestine. La sentenza è che questa fotografia della vicenda “poteva essere raggiunta pochi mesi dopo la strage”.

Ancora una volta una tragedia si è trasformata in un mistero e lo Stato ha sfoderato il suo impegno contro i cittadini per arrivare alla verità. È una storia che parte da lontanissimo, dall’eccidio di Portella della Ginestra per passare a piazza Fontana, piazza della Loggia e via via fino a Stefano Cucchi. Soltanto che nel frattempo qualcosa è cambiato. Da quando Mariano Rumor incontrò i parenti delle vittime di piazza Fontana e disse “Brava gente, poareti, non chiedono niente”, lo scenario è diverso. Gli amici di Peppino Impastato, le famiglie di Ustica, quelle di Bologna fino alla lotta instancabile dei fratelli Chessa, i figli del comandante della Moby Prince al quale si è cercato di addossare l’errore del cambio di rotta che hanno ipotecato la casa e venduto un negozio. Perché lottare contro lo Stato costa e le norme varate sono arrivate con anni di ritardo. E non è detto si applichino alla particolare vicenda. E i soldi qualcuno li ha visti con quarant’anni di ritardo.

Lo Stato ti combatte e ti aiuta, poco, mentre il lavoro dei familiari in molti casi ha portato ampi squarci di verità dove le indagini tradizionali e l’azione della magistratura si erano nel migliore dei casi arenate e nel peggiore aveva puntato su strade completamente sbagliate. Per i magistrati a Livorno c’era la nebbia e invece era solo un po’ di fumo della petroliera.

Andrebbe raccontata per intero la storia dei familiari delle vittime di stragi e altro, della loro lotta contro i mulini a vento, del loro essere veri cittadini consapevoli che rivendicano il diritto alla verità, mentre lo Stato ti combatte in nome a volte della Ragion di Stato e più spesso per biechi fini politici. I fratelli Chessa, Ilaria Cucchi, Paolo Bolognesi, Daria Bonfietti hanno scritto pagine di civiltà avendo contro molta politica, pezzi di magistratura e qualche giornale. Per vedere poi gente come Francesca Mambro (condannata a nove ergastoli 84 anni e 8 mesi di reclusione) e Valerio Fioravanti (8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi di reclusione) liberi. Lo Stato da una parte i cittadini dall’altra.

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