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Vendetta, su Netflix la lite fra i campioni dell’antimafia

«Il giornalista in terra di mafia si fa dei nemici. E ogni volta che accendo la macchina chiudo gli occhi, non si sa mai, si può anche saltare in aria» dice Pino Maniaci, direttore di Telejato.

«Sono giudice, se non avessi avuto la scorta sarei morta sicuramente» dice Silvana Saguto, magistrato, ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.

Si presentano cosi in Vendetta, la miniserie di Netflix, due campioni dell’antimafia. Il primo ha messo in piedi una tv locale dove ogni giorno spara a zero su Cosa Nostra, la seconda invece gestisce i beni confiscati all’organizzazione criminale. Maniaci è un giornalista molto ruspante, uno che nei suoi servizi parla di Matteo Messina Soldino (invece di Denaro) e gli dà tranquillamente del pezzo di m…. Scatena una campagna contro una costruzione abusiva e quando ne ottiene l’abbattimento dà lui il primo colpo di ruspa. E se la prende con il sindaco di Borgetto, Comune che sarà poi sciolto per mafia. La mafia gli brucia un’auto e gli impicca i due cani. Riceve una telefonata di solidarietà dal presidente del consiglio Matteo Renzi, ma poi si scopre che l’autore dell’obbrobrio dei cani è il marito della sua amante. D’altronde, dice comprensivo il fratello di Maniaci, «sfido io a chi non piace u pilu». Solo che lui più volte, pur sapendolo, ha parlato di attentato mafioso.

Lei, una che non fa nulla per essere simpatica, si atteggia a giudice integerrimo tanto che ha pure avuto un battibecco con Totò Riina nell’aula di un tribunale. In teoria giocano con la stessa maglietta, quella dell’antimafia, in pratica quando si incrociano partono scintille. Lui inizia a seminare qualche dubbio sull’attività della Saguto, lei lo snobba, Telejato è solo una piccola emittente.
Partono le indagini, il magistrato è accusato di avere una sorta di cerchio magico a cui affidare i beni confiscati. Al marito, per esempio, vanno 1,2 milioni di consulenze e anche il figlio fa parte del gruppo.
Ma a Maniaci non va meglio.
Alle tre di notte del 4 maggio 2016, due capitani dei carabinieri bussano alla sede di Telejato per notificargli un decreto di divieto di soggiorno nelle province di Palermo e Trapani. È scattata l’operazione Kelevra, riferimento molto sofisticato a un film uscito nel 2006 dal titolo Slevin Kelevra, con il sottotitolo La risposta del cane rabbioso. Maniaci è arrestato insieme a un gruppo di persone che alla tv aveva definito pezzi di m…. Ma non è che il cane rabbioso è Maniaci? Il giornalista viene accusato di diffamazione ed estorsione, si va a processo. Analoga sorte per la Saguto per la quale l’accusa è anche di associazione a delinquere, corruzione e altri reati.
Lei dice che i suoi guai sono arrivati quando sulla scena è comparso lui (Maniaci) e i mafiosi suoi amici, lui che i poteri forti amici del magistrato si sono vendicati. L’odio fra i due è feroce.
Uno dei due avvocati di Maniaci, poi, è Antonio Ingroia, altro ex campione dell’antimafia, che ha in ballo un suo processo per peculato. Se vi interessa andate a vedere come finisce ricordando che il tutto riguarda solo il primo grado di giudizio. Perché la serie, i cui primi filmati risalgono al 2005, si ferma qui, ai giorni nostri.

Vendetta Netflix antimafia

C’è chi vince e c’è chi perde, ma soprattutto a perderci è l’antimafia massacrata anche dalle gesta più o meno gravi dei tre.
Però la storia buttata lì così non ha senso. Un po’ perché come scrive Enrico Deaglio “Se c’è una cosa che contraddistingue i fatti di mafia è che nessuno – intendo le persone normali – ne capisce niente e soprattutto non ne vuole sapere”. Soprattutto quando le storie si raccontano così, come fossero due che si prendono a botte, ma non si capisce chi abbia ragione. Si rischia di pensare che alla fine “è tutto un magna magna”. Invece le vicende dell’antimafia sono anche altra cosa, non esente da critiche, anzi, ma che non possono essere ridotte alla lite fra Maniaci e la Saguto. Una storia del movimento antimafia l’ha raccontata Umberto Santino nel suo Storia del movimento antimafia e poi, più recentemente c’è Giacomo Di Girolamo e il suo ottimo Contro l’antimafia dove narra le storie più recenti di un movimento che si attiva soprattutto in risposta ai grandi delitti.  E ancora, Francesco Forgione con I tragediatori racconta il crollo dei miti dell’antimafia, Attilio Bolzoni ne Il padrino dell’antimafia Cosa Nostra che si fa antimafia con la vicenda di Antonello Montante, Piero Melati nella Notte della civetta le sue storie eretiche. E a breve uscirà anche il libro di Franco La Torre, figlio di Pio La Torre che anni fa raccolse l’eredità dell’impegno dei suoi genitori fino a quando un sms di don Ciotti gli disse che era fuori da Libera. E ancora cerca di capirne il perché.

Ecco, a questo punto si può avere un’idea di vizi e virtù del movimento che va ben oltre la vicenda narrata da Netflix che lascia un po’ il tempo che trova. Maniaci è amico dei mafiosi? E la Saguto, qui c’è qualche certezza in più, è veramente colpevole?

Foto in apertura: una scena tratta da Vendetta, in onda su Netflix

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