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Premio Ispi. L’infinito di Samantha Cristoforetti e Fabiola Gianotti

«Grazie al loro lavoro varcheremo le porte dell’infinito». È con queste parole, affascinanti (e un pizzico inquietanti), che Giampiero Massolo, presidente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, ha introdotto le due vincitrici del premio Ispi, assegnato quest’anno a Samantha Cristoforetti, astronauta dell’Agenzia spaziale europea e comandante della Stazione spaziale internazionale, e a Fabiola Gianotti, direttrice generale del Cern di Ginevra.

Il premio, istituito nel 2013 in memoria di Boris Biancheri, già presidente Ispi, nelle edizioni passate è andato, tra gli altri, a Filippo Grandi, Emma Bonino, Paolo Gentiloni, Staffan De Mistura e alla memoria di Luca Attanasio.

 

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Da sinistra, Paolo Magri, vice direttore esecutivo Ispi, Samantha Cristoforetti, Fabiola Gianotti, Giampiero Massolo, presidente Ispi

Varcheremo le porte dell’infinito. E davvero, ascoltando gli interventi di Samantha Cristoforetti e di Fabiola Gianotti, si è avuta l’impressione di partire per un viaggio verso un infinito pieno di conquiste e ancora di tantissimi misteri.

L’infinito di Samantha Cristoforetti si chiama esplorazione dello spazio. Con progetti importanti come quello che prevede il ritorno dell’uomo sulla Luna e una missione (robotica per ora, domani chissà) su Marte.

Artemis 2 sarà la prima missione con equipaggio del veicolo spaziale Orion (realizzato in Europa dall’agenzia spaziale europea) che dovrebbe essere lanciato dallo Space Launch System della Nasa nel novembre 2024. La navicella Orion eseguirà un sorvolo lunare e tornerà sulla Terra. Primo passo verso qualcosa di più grande. «Il progetto» ha spiegato Cristoforetti «prevede la costruzione di stazione spaziale che sarà messa in orbita intorno alla Luna». Lunar Gateway, questo il suo nome, fornirà uno spazio in orbita di appoggio per le missioni future verso la Luna e poi verso Marte.

Ma non è tutto. L’Esa sta lavorando al progetto Moonlight. Obiettivo: supportare le missioni commerciali e istituzionali che nella seconda metà del decennio esploreranno il satellite terrestre e favorire, nel tempo, lo sviluppo di una vera e propria “economia lunare”.

E poi si guarda a Marte. Con due diverse missioni: Exomars e Mars Sample Return. La prima porterà sul Pianeta Rosso un rover, denominato Rosalind Franklin, capace di muoversi e, soprattutto, di penetrarne il suolo per analizzarlo. La seconda raccoglierà campioni di roccia e polvere e li porterà sulla Terra dove verranno analizzati.

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Samantha Cristoforetti

Resta la cosiddetta orbita bassa, quella intorno al nostro pianeta. E qui le cose si fanno un po’ strane. Perché stanno prendendo piede le missioni di privati. La stazione spaziale, programma pubblico nato dalla collaborazione di Stati Uniti, Russia, Europa, Canada e Giappone, resterà in orbita fino al 2030, «poi gli Usa si rivolgeranno a infrastrutture private». Come la Axiom di Elon Musk, che ha già effettuato il primo volo con equipaggio privato diretto alla Iss. «In sostanza» ha detto provocatoriamente ma non troppo, Cristoforetti, «voi chiamate la Nasa, dite che avete un po’ di soldi e che volete andare a fare un giro nello spazio. La divisione marketing vi venderà un volo» Di fronte a questa prospettiva, «ci stiamo interrogando se non sia il caso di provare ad avere, come Europa, qualche capacità più autonoma di accesso allo spazio. Gli Usa manderanno persone nello spazio tramite aziende private. I russi continueranno le loro attività. I cinesi hanno consolidato le loro capacità e l’India ha un programma già molto avanzato. Solo l’Europa per ora non è pervenuta».

Ed è assenza da colmare prima possibile, perché la revolution space non è solo un programma ambizioso di esplorazione umana dello spazio, «ma ha un’influenza molto più ampia per la pace, la sicurezza, la cooperazione, la prosperità, la ricchezza, la capacità industriale». Non ultimi l’ispirazione e il talento, di cui l’Italia e l’Europa sono pieni.

L’infinito di Fabiola Gianotti sono i quark e gli elettroni. Lei dirige il Cern che, fondato nel 1954, è il più grande laboratorio al mondo per la fisica delle particelle, «fondamentale tra tutte le scienze perché studia i componenti più piccoli e indivisibili della materia di cui noi siamo fatti, della materia che ci circonda e dell’universo visibile». L’obiettivo del Cern è ambizioso, anzi di più: «Capire come funziona l’universo. E per farlo bisogna sviluppare tecnologie di punta, avere strumenti molto avanzati per poter fare queste esplorazioni». Acceleratori di particelle, rivelatori di particelle, strutture di calcolo. Lei ne parla come fossero la cosa più semplice in assoluto a noi che la ascoltiamo, attenti a non perdere neppure un passaggio su atomi, elettroni, quark, protoni e neutroni.

Ma è il Cern è anche formazione «di tecnici, ingegneri e scienziati di domani». Ed è esempio – importantissimo, oggi ancora di più – di collaborazione mondiale pacifica. «Abbiamo più di 16mila scienziati di oltre 110 nazionalità. Israeliani e iraniani, russi e ucraini, lavorano insieme. Perché la scienza è un ponte che permette di creare legami anche quando tutti gli altri ponti sono stati distrutti».

La comunità italiana, con 2.400 studiosi, è la più grande. Una sessantina di accordi di cooperazione internazionale con Paesi in via di sviluppo consente di aiutare nazioni povere a colmare il divario con quelle più sviluppate.

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Fabiola Gianotti

Al Cern si studiano i costituenti più piccoli della materia, i quark. Gli atomi sono formati da elettroni, protoni e neutroni, e queste due ultime particelle sono fatte di quark, ha spiegato Gianotti. Un po’ come una serie di bambole matrioska che si infilano l’una nell’altra.

«La fisica fondamentale delle particelle ci permette di studiare la materia a livello dei quark su scale fisiche più piccole di un miliardesimo di miliardesimo di metro. Lo studio dell’infinitamente piccolo permette di studiare l’infinitamente grande, la struttura e l’evoluzione dell’universo».

Oggi sappiamo con certezza che l’universo ha avuto origine 13,8 miliardi di anni fa a seguito di una grande esplosione. «Non sappiamo sia stata innescata ma c’è stata e si chiama big bang».

E allora.

«All’inizio l’universo era molto caldo e denso e poi pian piano si è espanso e raffreddato. Con l’espansione e il raffreddamento le particelle si sono unite a formare strutture più grandi. Prima i quark a formare neutroni e protoni, poi neutroni e protoni a formare i nuclei fino ad arrivare agli atomi e alle molecole e alle macrostrutture che vediamo oggi, le stelle le galassie…».

Chissà se questo è l’infinito, veniva da chiedersi mentre la ascoltavamo.

«Ci sono due modi complementari di studiare l’universo. Uno è utilizzare telescopi. L’altro è quello degli acceleratori».

Il Larger Handron Collider (LHC) del Cern è l’acceleratore di particelle più grande e potente esistente sulla Terra. Si tratta di un acceleratore di adroni con una energia di circa 14 teraelettronvolt, costruito all’interno di un tunnel sotterraneo con una circonferenza di circa 27 chilometri, a circa 100 metri di profondità.

«Al Cern siamo stati in grado di risalire a un milionesimo di un milionesimo di secondo dopo il big bang. Abbiamo capito tutto fino al quel momento». Ed è sempre al Cern che nel 2012 «abbiamo scoperto la particella molto speciale, il bosone di Higgs che ci ha permesso di rispondere a una delle domande su cui ci siamo per 60 anni interrogati, legata all’origine delle masse delle particelle elementari, gli elettroni e i quark».

Progressi giganteschi. Eppure. «Conosciamo solo il 5 per cento dell’universo. Il restante 95 per cento è un punto di domanda, fatto di energia e materia che non conosciamo, che non interagiscono con i nostri strumenti. Capire questo universo oscuro è uno degli obiettivi di oggi».

Guardate il cielo, ci ha invitato Fabiola Gianotti. «So che ciò che più affascina sono i punti luminosi, le stelle, i pianeti, le galassie. In realtà ciò che affascina di più noi fisici sono il buio e il vuoto». Quell’energia oscura di un infinito ancora da scoprire.

Credit foto in apertura: “universo” by zentolos is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.

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