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Paolucci. Storia stupefacente della scienza e del dottor Sacks

Gli scienziati indossano camici bianchi, sopra il naso hanno spesso gli occhiali, si chinano su microscopi dove scrutano per ore indaffarati e minuscoli mondi, hanno vite regolari all’insegna della razionalità.

Vero, ed è così che ce li immaginiamo. Ma soprattutto in passato, e soprattutto per alcuni di loro (e non pochi), la ricerca e la conoscenza procedevano in modo libero, sregolato, un po’ pazzoide e alquanto rischioso per sé stessi. Scoprire le proprietà psicoattive e terapeutiche di nuove sostanze, per esempio, e il loro effetto sul cervello e la mente, significava percorrere personalmente – perché chi meglio di loro poteva poi valutarne le conseguenze dirette – sentieri impervi e densi di incognite. E se queste nuove sostanze si chiamavano hashish, ketamina, funghi allucinogeni e altre pozioni «stregonesche» assortite, i risultati erano tanto formidabili quanto pericolosi.

Storia stupefacente della scienza (il Saggiatore) è il saggio che racconta, ed è davvero iluminante, e pure divertente leggerlo, gli esperimenti temerari dall’alba della ricerca fino a (quasi) oggi. L’autore, Alessandro Paolucci, è, per inciso, quello che ha ideato l’account @Dio, esilarante blog dove la suprema entità commenta cinicamente i nostri fatti terrestri.

Si parte da Avicenna, genio eretico nato nel 980 d.C. che maneggiava disinvoltamente l’oppio come farmaco naturale (e sarà così per molti secoli a seguire, data la sua efficacia nel combattere il dolore), si prosegue con Paracelso e i suoi intrugli «miracolosi» – forse laudano, forse altro -; incontriano Benjamin Franklin, l’inventore del parafulmine, che sempre con l’oppio si curava la gotta, ed ecco (saltando qui qualche capitolo, ma voi non fatelo) il grande chimico Albert Hofmann che negli anni 70 si mise a studiare alcune piante fino a scoprire gli effetti caleidoscopici dell’Lsd (poi bandito da ogni ricerca di laboratorio, solo ora viene ri-sperimentato nella cura della psiche); lo scrittore e astrofisico Carl Sagan, che ogni tanto si faceva di marijuana, il Nobel per la chimica Kary Mullis, felicemente anarchico e provocatorio oltre i limiti del consentito…

Ma a noi piace rivelare, di tutto questo sorprendente elenco, la storia pazzesca di Oliver Sacks. Chi non lo conosce? Medico, neurologo, scrittore strepitoso di saggi unici nel loro genere come contenuti e qualità della scrittura, a tal punto appassionanti da diventare film (Risvegli, del 1990). Un omone buono che curava con rara empatia e acume i suoi innumerevoli malati, colpiti da patologie cerebrali che ne stravolgevano di colpo le esistenze e la percezione. Ma che, in gioventù, fu uno dei più incauti sperimentatori di sostanze psicoattive, per curiosità, noia, passione conoscitiva, incoscienza e, alla fine, vera e propria dipendenza.

Sacks un drogato? Beh, sì, ma che drogato… Non un’anima alla deriva per paturnie esistenziali, bensì per una pervicace volontà di sapere, e testare in prima persona. «Al principio degli anni 60 si stavano accumulando nuove conoscenze sugli effetti dei farmaci psicoattivi sui neurotrasmettitori cerebrali e io, come neurologo, desideravo molto sperimentarli per capire quello che certi miei pazienti stavano attraversando».

Così, persino con una certa spensieratezza, il giovane neurologo decise di spingere al limite il suo, di cervello, rischiando però di perderlo. Con la stessa passione con cui si era inizialmente buttato nello studio della chimica, e anche per superare il dolore di un amore finito, il 30enne Sacks iniziò ad alternare i giorni lavorativi alla Ucla a weekend di immersione dei paradisi artificiali con cannabis e altri allucinogeni, non disdegnando dosi calibrate – secondo lui – di farmaci che agivano sulla mente (l’Artane, usato nel Parkinson, per esempio) via via più potenti.

Oliver Sacks nel 1961 (Penguin/Random House)

Iniziarono così «viaggi» di  intense allucinazioni: amici che entravano in casa a chiacchierare amabilmente, salvo poi scoprire che se li era immaginati; scambi di opinioni con un ragno attaccato alla parete della cucina; elicotteri che atterravano nel giardino di casa; la sua mano che diventava, come in Alice nel Paese delle Meraviglie, sempre più grande.

Passò poi a coktail di anfetamine, cannabis e Lsd: non dormiva più, non mangiava, pensava solo a stimolarsi i centri cerebrali del piacere, una scorciatoia verso l’autodistruzione. Ma siccome gli potenziavano, nel contempo, le prestazioni mentali, e la sua memoria andava al massimo, rinunciarvi era difficile. Così, Sacks oscillò per anni tra doping neurologico, prezioso per la sua carriera, e pericolo di morte (per collasso o infarto).

Dall’Lsd, per allietare i suoi weekend deliranti, un giorno passò a sperimentare semi di ipomea (contengono amide dell’acido lisergico) mescolati con gelato alla vaniglia: dopo 20 minuti di nausea intollerante, sprofondò in un eden di pace e beatitudine.

Sordo ai richiami di un’amica psicoanalista di smetterla con tutte quelle droghe, una sera di luglio, a 32 anni, gli venne in mente di farsi un’iniezione di morfina per endovena: fu, per così dire, una notte alquanto interessante, dato che sulla manica della sua vestaglia assistette alla battaglia di Azincourt del 1415, epico scontro nel corso della Guerra dei Cento anni.

«Bardature vistose, soldati a cavallo con l’armatura scintillante al sole e uomini che imbracciavano lunghi archi» raccontò molti anni dopo. «Suonatori con grandi cornamuse d’argento, di cui sentivo la musica. Vidi centinaia di migliaia di uomini, due eserciti, che si preparavano alla battaglia». Poco importa che fosse il 1965, a Londra, e che Sacks fosse sdraiato a letto. Quando si  «svegliò» dalla contemplazione della battaglia, scoprì che erano passate più di 12 ore.

Alla fine del 1965, era ancora prigioniero di tutte le sue tante droghe. All’apice della dipendenza, assumeva grandi quantità di anfetamina, e non riusciva a dormire senza dosi massicce di sonniferi. Quando la scorta di ques’ultimo finì (era cloralio idrato, il sonnifero usato anche da Nietzsche), sperimentò una violenta crisi di astinenza: il caffè che quel mattino bevve al bar diventò verde e poi viola, un cliente esibiva una gigantesca testa di elefante, sull’autobus (scappò dal locale a gambe levate) i passeggeri avevano teste bianche e lisce come uova e grandi occhi da insetti. Una visione paragonabile a quella del bar di Guerre Stellari.

Un’autentica psicosi schizofrenica; intanto, per non sbroccare definitivamente, lungo il tragitto annotava tutto sul suo taccuino.  Chiamò un’amica medico e decise di disintossicarsi non all’ospedale, ma dentro casa, per vivere da neurologo un’altra esperienza che gli sarebbe stata utile nel suo lavoro.

Furono quattro giorni di allucinazioni. Ne uscì? Sì e no. A salvarlo davvero fu la decisione dei suoi superiori di levarlo dal laboratorio di ricerca (troppo pasticcione) e di dedicarsi ai pazienti, da medico.

Sacks nel 1985

Iniziò, senza troppa convinzione, con i malati di emicrania, e scoprì un mondo di sintomi, un’enciclopedia di neurologia. Se ne appassionò, traendone molto più piacere, per fortuna, che dai suoi giri di giostra con gli stupefacenti. Basta frenetici weekend all’anfetamina, ora Sacks scriveva, indagava, si esaltava nello studio dei cervelli in cui qualcosa, improvvisamente, non funzionava più. Un universo di sintomi, percezioni, esperienze terribili e travolgenti, comportamenti «alieni» che gettavano una luce inedita nell’intrico oscuro dei neuroni.

Emicrania fu il primo libro, seguito da tanti altri capolavori: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Allucinazioni, Risvegli, Un antropologo su Marte, L’isola dei senza colore, tutti editi Adelphi… In uno di questi saggi, non ricordiamo più quale avendoli letti praticamente tutti, Sacks racconta di un suo giovane paziente che, dopo l’uso di una droga, si svegliò un mattino con l’olfatto potenziato, come quello di un segugio. Passò l’intera giornata a camminare nella sua città, annusando e sentendo, con il naso, ogni cosa, ogni persona, ogni oggetto, ogni angolo di strada. Ondate di odori, puzze, miasmi e profumi da esserne letteralmente travolto.

Qualche giorno dopo, l’intensa allucinazione olfattiva svanì, e le sue narici tornarono a essere quelle tristemente normali di un umano. Il ragazzo non si drogò più, ma per tutta la vita rimpianse, in un certo senso, quella memorabile giornata.

Nulla ci impedisce di pensare che quel giovane paziente fosse, in un certo senso, «reinventato». Esperienza vera, persona falsificata. Forse era proprio lui, Oliver Sacks, a essersi svegliato un mattino con un superpotere che gli fece vivere la realtà in modo fantasticamente diverso.

Anche lui lo rimpianse? Chissà. Ma la gioia di vivere che sperimentò per tutta la vita, la gioia di conoscere, far conoscere, indagare, emozionarsi, appassionarsi di tutto, di scienza, di medicina, di moto, di arte, di musica, di letteratura, di chimica, di biologia (e probabilmente ci sfugge qualche altro suo divorante interesse) fu nel suo caso la droga più potente e la migliore. Una vita «stupefacente», senza più effetti collaterali.

Sacks morì nell’agosto del 2015, a 82 anni, per metastasi al fegato dovute a un raro melanoma all’occhio. Descritto, come ogni esperienza che fece in vita, con accuratezza, strazio, dolore e curiosità. «Cerco di vivere i mesi che mi restano nel modo più ricco, profondo e produttivo possibile» disse in un’ultima intervista al New York Times. «Non fingo di non avere paura, ma il sentimento predominante è gratitudine: sono stato un essere senziente su questo splendido pianeta, ed è stato un’avventura e un privilegio».

Alessandro Paolucci

IL LIBRO Alessandro Paolucci, Storia stupefacente della scienza. Hashish, Ketamina e Funghi da Avicenna a Oliver Sacks (il Saggiatore)

  • Alice Caroli è una giornalista piemontese
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