È possibile per un non credente parlare con Dio?
La domanda che pone Vittorino Andreoli, 85 anni, psichiatra di fama internazionale, in Preghiera del non credente (TS – Terra Santa editore) lascia affascinati e insieme turbati.
In questo suo libro – un dialogo diretto e appassionato con Dio che si trasforma in un confronto quasi sfrontato in cui Dio stesso, provocato, prende la parola – Andreoli dà voce alle domande più profonde dell’animo umano.
Lo fa interrogandosi sul bisogno di trascendenza e sul rapporto con il Divino, ed esplora un tema universale: la preghiera, non soltanto come atto religioso, ma come dialogo interiore di chi cerca un significato alla propria esistenza, anche senza la certezza di Dio.
Ma chi sono i non credenti? «Sono quegli uomini, quelle donne che non hanno avuto esperienza di Dio» dice Andreoli, che ha presentato il suo lavoro al Salone del Libro di Torino. «Questo si inserisce proprio nell’ambito della religione cristiana, che è l’unica, in tutta la storia dell’antropologia, ad affermare che Dio prende rapporto con ciascuno di noi. Tanto è vero che la definizione di Dio è Deus caritas est, Dio è amore, e la relazione d’amore è un desiderio fortissimo, quello di incontrarlo».
Nel libro Andreoli sostiene che la fragilità è la vera grandezza umana. «Fragilità che non è un sintomo, non è debolezza, la fragilità è condizione umana. Il nostro essere ha dei limiti e questi limiti ci portano ad aver bisogno dell’altro, al passare dall’Io al Noi in una società che ha delirato sull’Io, mentre tutto ciò che conta è l’insieme. E questo insieme che è umano rimanda a un legame che non è più quello della mia fragilità con un’altra fragilità, ma quello della fragilità con ciò che è il senso stesso di me, in cui io non avverto più la paura, perché da quel momento il legame d’amore è un legame con l’assoluto».
In Preghiera del non credente Andreoli tenta di spiegare l’inspiegabile e di rispondere a domande eterne, quali la morte, la bellezza della Creazione e il mistero del male. «Io credo che l’impronta della trascendenza sia dentro di noi» sostiene. «Viviamo in un tempo segnato dal dubbio e dalla perdita di fede. La grande crisi contemporanea, e lo dice uno che è un non credente, è proprio il disinteresse, è proprio il non cercare. Mentre l’attesa è straordinaria, perché nel momento in cui si aspetta si è convinti che chi stiamo aspettando c’è».
È bellissimo pensare di poter avere una esperienza diretta di Dio, scrive Andreoli. Io lo cerco da tempo ma non è ancora tempo; io so che a lui piace incontrare, relazionarsi direttamente con le sue creature. La maniera migliore per occupare l’attesa è la preghiera. La preghiera del non credente.
«Nel cristianesimo il problema non è quello di arrivare con la ragione a definire Dio, ma è di sentirlo» aggiunge. «E la preghiera diventa così un modo per dare voce alle tante persone che cercano, che non credono ma vorrebbero credere, che credevano e non credono più, che sono fragili ma continuano a sperare. E in questa voce risuona una sincera speranza: Signore, non ti conosco ma ti penso, non so se esisti ma ti cerco, e giungo a desiderare che tu ci sia».
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È bellissimo cercare Dio, anche se non lo si trova e persino se non esistesse.
Cercando una realtà necessaria, la si pensa, la si immagina e così la si vive. La ricerca diventa attesa, una condizione straordinaria della mente che dà corpo a ciò che ancora non c’è.
Si aspetta e questo atteggiamento crea persino il proprio creatore.
Si cerca il necessario ed è come se le tracce fossero dentro di noi.
È bellissimo pensare di poter avere una esperienza diretta di Dio. Io lo cerco da tempo ma non è ancora tempo; io so che a lui piace incontrare, relazionarsi direttamente con le sue creature.
La maniera migliore per occupare l’attesa è la preghiera. La preghiera del non credente. Esprime il bisogno del divino che c’è dentro l’umano (da La preghiera del non credente di Vittorino Andreoli, TS editore).
Foto in apertura: Vittorino Andreoli, a destra, con il giornalista Piero Bianucci al Salone Internazionale del libro di Torino