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Allonsanfàn
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Salone di Torino. Libri, folla, incontri

Succede al Salone del libro di Torino di seguire il Cardinale che in tantissimi avremmo voluto Papa nel suo incontro con il cantautore di brani che – sempre in tantissimi – sappiamo a memoria (Certe notti la macchina è calda / e dove ti porta lo decide lei / Certe notti la strada non conta / E quello che conta è sentire che vai…).

E succede di pensare che aiuta, in questi tempi difficili, poterli ascoltare mentre ricordano gli anni Sessanta («quando tutto ci sembrava possibile») e parlano di pace. Succede di ridere con loro, quando a Matteo Zuppi dicono che sì, Pontefice è stato eletto un altro, ma lui ha vinto il FantaPapa mentre Luciano Ligabue sbarra gli occhi: «Ma è stato avvisato che si sarebbe parlato anche di questo?».

Zuppi salone libro torino
Il Cardinale Matteo Zuppi al Salone del libro di Torino ©Giulia Fasano

Siamo 2 mila persone al Lingotto per il cardinale di Sant’Egidio e per uno tra i protagonisti della musica più amati, in un appuntamento intitolato La storia, le storie, dal Dio al noi. La curiosità è scontata: del Conclave non può dire nulla, ma cosa ha provato quando è stato eletto Papa Leone XIV? Zuppi risponde ridendo: «Questa domanda è uno scherzo da prete». Poi: «La Cappella Sistina è il luogo del giudizio, mette timore, fino a quando arriva la luce, annuntio vobis gaudium magnum, e si aprono i finestroni che danno su piazza San Pietro, e vedi la folla fino alla fine di via della Conciliazione. Sono momenti di gioia intensa». E lei allora cosa ha pensato? «Ho pensato: se fossi io al posto di quell’altro, cosa farei? Esattamente quello che ha fatto il protagonista del film di Nanni Moretti Habemus Papam: si apre il finestrone, l’eletto dice “Non ce la faccio” e il finestrone subito si chiude». E aggiunge: «Se a essere eletto Papa fosse stato Ligabue, avrebbe immediatamente composto una canzone».

Ligabue salone libro torino
Luciano Ligabue ©Giulia Fasano

Papa proprio no. Ma Ligabue il 21 giugno sarà a Campovolo, Reggio Emilia, e a settembre terrà un concerto alla Reggia di Caserta. Come fa a non montarsi la testa, gli chiedono. «Quando salgo sul palco» risponde «assisto io a uno spettacolo che credo sia migliore di quello che vede il pubblico. Nel senso che io guardo chi è venuto ad ascoltarmi e mi rendo conto che la parola cantata ha un peso specifico molto diverso dalla parola detta. Può essere più leggera o più pesante. Lo vedo da 35 anni, da quando faccio questo “mestiere”. E la cosa mi rende responsabile e mi muove dentro una emozione enorme».

Poi i due ragazzi degli anni Sessanta (Zuppi ne ha 69, Ligabue 65) parlano di pace, e di quando erano convinti che il mondo si potesse cambiare, potesse essere migliore. Non è andata così, ma è importante “mettere in circolo” l’amore per gli altri. Non chiudersi in un io che fa soltanto male. La risposta alla domanda comune – quale paura provate oggi – è la stessa: la guerra, che è una follia. «Paura che deve diventare consapevolezza, scelta. E speranza» sottolinea il Cardinale (e noi ci sentiamo un po’ meglio).

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Succede al Salone del libro di Torino di vedere Stefano Massini presentare il suo ultimo libro Donald. Storia molto più che leggendaria di un Golden Man (Einaudi), dove l’oro della copertina quasi riflette il volto del lettore, che è cosa anche un po’ inquietante. Ma inquietante è molto di più la biografia dell’uomo attualmente più potente del mondo. Massini la racconta come fosse una ballata, vorticosa e trascinante. Terribile.

Donald Trump Massini salone libro torino

La famiglia di origini tedesche, il cognome cambiato per nascondere quelle origini, tanti aneddoti fanno capire perché Donald Trump è così (spietato? arrogante? pazzo?). Si ride quando Massini narra del bambino Trump che riesce a convincere i compagni di scuola a vendergli banconote da 10 dollari che lui pagherà 2 dollari. Si ride meno ad ascoltare come diventa quando cresce, sempre più forte e potente, fino a diventare presidente degli Stati Uniti e a pubblicarsi sui social nelle vesti di Papa.

«Donald Trump» dice Massini «è tutto l’opposto rispetto a quello che ci è stato insegnato sui valori che dovrebbe avere un uomo di Stato». Incarna un “qualcosa” «che si sta riflettendo nella politica italiana dei giorni nostri. L’idea del potere che, una volta acquisito con il voto del popolo, diventa assoluto, diventa comando. E chiunque si oppone a quel potere non è considerato – come dovrebbe essere – una persona critica, un intellettuale che fa il suo lavoro, ma diventa un nemico».

Stefano Massini

Trump è stato votato da quegli stessi migranti che ora espelle, che “deporta”. «Perché ha saputo rappresentare l’insoddisfazione e l’infelicità di tanti. Che gli hanno consegnato non un mandato a rappresentarli, ma la missione a renderli felici». E non è uno scherzo. «Nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, unica al mondo, è scritto che ogni cittadino ha il diritto di essere felice».

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Succede al Salone del libro di Torino di finire per caso in mezzo a un gruppo di persone di età autorevolissima. Ti appoggi a un muro con l’intenzione di pranzare con un cornetto Algida che è l’unica cosa commestibile che si può comprare senza affrontare code di chilometri. E all’improvviso eccoli, intorno a te, qualcuno con il bastone, altri addirittura su sedie di emergenza, e tutti vestiti con maglie color granata. Nella sala dove pensavi di riposare qualche minuto si sta per presentare il libro Lo scudetto “rubato” (Priuli & Verlucca editore) di Gino Strippoli. Affronta un tema caldissimo, anche se non proprio attuale: lo scudetto scippato al Torino (dalla Juve, ovviamente) nel campionato 1971-2.

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Lei tiene al Toro vero? mi chiedono con un tono non proprio minaccioso ma quasi. «Sì, boh, anche un po’ all’Inter» mi verrebbe da rispondere ma decido che è meglio ricordare il mio papà, di vera e grande fede granata. E finisce che anch’io applaudo Paolo Pulici, Claudio Sala e un altro bel numero di giocatori di quel tempo di cui – mi spiace – non mi vengono in mente i nomi.

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L’incontro con i calciatori del Torino che nel 1971-72 vennero “scippati” dello scudetto

Sono tutti simpatici sul palco dove commemorano un altro grande, Aldo Agroppi. Ma certo non risparmiano accuse e parolacce nei confronti di arbitri e squadre avversarie che nel 1971 hanno portato via al “loro Toro” il primato. Improperi che riguardano anche i giocatori di oggi. «Se qualcuno di noi si fosse tolto la maglia dopo un goal gli avremmo detto che era un c***» gridano. Perché la maglia rappresenta quel senso di appartenenza che nei calciatori di oggi forse non esiste più.

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Succede al Salone del libro di Torino di incontrare scrittori famosi e altri esordienti, rapper ventenni e cantanti ottantenni, giornalisti e politici, editori e scienziati. E correre per ascoltarli, e stare in piedi 12 ore perché non c’è posto per sedersi, e affrontare una folla che in certi momenti sembra un muro invalicabile, e tornare a casa sfiniti. Ma convinti che i libri restino tra le risorse più importanti per ciascuno di noi, e per affrontare tempi complicati come quelli che stiamo vivendo.

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Sono stati più di 2.500 gli eventi e gli incontri che si sono tenuti dal 15 al 19 maggio al Lingotto di Torino, nell’ambito de Le parole tra noi leggere, edizione numero 37 del Salone Internazionale del Libro visitato da 231.000 persone.  

Tra gli eventi internazionali con maggiore affluenza quelli con Stefan Boonen, Jan Brokken, Émmanuel Carrère, Mircea Cărtărescu, Javier Cercas, Tracy Chevalier, Caroline Darian, Joël Dicker, Penelope Douglas, Etgar Keret, Felicia Kingsley, Saitō Kōhei, Paul Murray, Valérie Perrin, David Quammen, Rie Qudan, Jean Reno, Yasmina Reza, Lucy Sante, Adania Shibli, Liv Strömquist, Victoire Tuaillon, Scott Turow. Tra gli eventi italiani quelli con Alessandro Barbero, Daria Bignardi, Gianrico Carofiglio, Concita De Gregorio, Donatella Di Pietrantonio, Luciano Ligabue e Matteo Zuppi, Cecilia Sala, Salmo, Roberto Saviano, Antonio Scurati, Toni Servillo, Ornella Vanoni, Antonello Venditti, Sandro Veronesi.

La prossima edizione del Salone si terrà dal 14 al 18 maggio 2026.

  • Credit foto in apertura: ©Giulia Fasano
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