UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Laura Lanza e la Sicilia di Ciccina, storia segreta di fimminazze e di miracoli

Ciccina di Laura Lanza – La storia in siciliano di un’eroina tutta nuova Esistono diversi tipi di eroi. Quello glaciale, quello con i superpoteri, quello un po’ cattivo ma alla fine buono come il pane. Denominatore comune: fare gratuitamente del bene agli altri.

Nel romanzo Donna Francesca Savasta, intesa Ciccina (Astoria) di Laura Lanza, troviamo un nuovo tipo di eroina. Una giovane levatrice, una vera “fimminazza indiavolatache organizza astuti stratagemmi per mettere le cose a posto. La donna però nasconde un segreto piccante, che nessuno deve assolutamente conoscere. Analizziamo questa figura.

Ciccina di Laura Lanza: tipologia di un eroe Il libro è stato pubblicato da Astoria, nel settembre 2020. Nella copertina spicca un ritratto di donna. Si tratta della Frileuse del pittore francese Bouguereau. La ragazza nel quadro ha i capelli neri sopra le spalle. Sembra se li sia tagliati da sola, con una sforbiciata post lockdown. Ha una frangetta cortissima che – impudica – lascia scoperte le sopracciglia. Una foto della sua acconciatura potrebbe benissimo trovarsi su Google, alla voce Tendenze capelli 2021. Due occhi scuri sembrano sfidare il lettore al gioco del Chi-abbassa-lo-sguardo-per-primo-ha-perso. Indossa una mantella arcobaleno. Porta al collo una collana d’oro, che appare come una sorta di aureola capovolta da non santa. È così che ci si potrebbe immaginare donna Francesca.

Se una notte d’inverno una levatrice… L’incipit Il romanzo si apre nel 1854, a Monteforte, un piccolo paese sopra i monti Iblei in Sicilia. Le prime pagine dell’opera mostrano Ciccina a letto. È notte. Accanto a lei sta ronfando soddisfatta una persona. Lei la guarda con passione. Nessuno deve sapere sia lì con lei.

La donna abita nella casa comunale, accanto alla ruota in cui i neonati sono abbandonati. L’amante, col favore delle tenebre, deve uscire senza essere visto. “Fottutissimu lampiuni: così, tramite discorso diretto libero, l’autrice mostra una Ciccina molto scontenta del nuovo palo della luce, piantato proprio davanti la porta secondaria della sua abitazione. La luce potrebbe svelare a tutti la sua relazione segreta. Il giorno dopo, la donna va dal sindaco a chiedere che “lo stutasse quel lume, lo stutasse” (lo spegnesse). La levatrice spiega che la luce di quel lampione scoraggia le puerpere, che potrebbero quindi lasciare i figli in luoghi meno sicuri della ruota. Il primo cittadino non può fare altro che accogliere la richiesta di quella “fimminazza” linguacciuta. Ma qual è la relazione segreta che deve nascondere?

Non è un paese per amori illeciti Esistono diversi tipi di amori illeciti. Di certo Monteforte non è luogo adatto a contenere il rimbombo di una relazione proibita. I suoi abitanti sono semplici, creduloni. “La gente qui si scanta del maligno. Crede che niente niente, scavando scavando, ci viene fuori qualche diavulazzu”.
Ci troviamo in un mondo fatto di codici e di apparenza, dove per amarsi si deve ricorrere alla strategia e al segreto. Servono fini stratagemmi per poter ottenere briciole di felicità notturna.

Chi ama Ciccina? Una donna ignorante, pragmatica e forte di chi può innamorarsi? Attrae il suo interesse un uomo che le parla di Platone, Aristotele, Sant’Agostino. Non si vive di solo pane. In paese sono tutti troppo presi dagli affanni quotidiani per interessarsi all’arte, alla letteratura, alla musica, alla storia. C’è però un uomo che ha una sete che l’acqua non riesce a placare. Si tratta di Don Peppino Gallo, il prete di Monteforte. La relazione deve rimanere nascosta. Un parrino e una levatrice insieme: il loro amore è scandalo da scomunica.

Entropia, levati Ciccina e Peppino decidono di mantenere segreta la loro storia, relegandola alla notte. E di giorno? Di giorno si trasformano in deus ex machina.

Il romanzo si sviluppa a episodi, in una successione di situazioni che si incastrano. I due protagonisti della storia risolvono i problemi della gente, come stessero componendo puzzle. Manipolano destini, come eroi in incognito pronti a creare ordine dal caos. Della serie: entropia, levati.

Prete e levatrice conoscono tutti i segreti e i peccati dei paesani. Ecco che la coppia è vincente nel mettere a posto le vite delle persone, con una creatività che trascende il limite della morale comune. E così, una giovane donna, sposata con un uomo anziano e sterile, concepisce un figlio col falegname di cui è innamorata, facendolo passare il bimbo per legittimo. O ancora in una famiglia benestante, un neonato morto è scambiato con quello di una povera vedova. Quest’ultima gli farà da balia, in modo da stare sempre col piccolo. Ci sono poi una giovane donna a cui è morto il marito che ritrova il conforto con un nuovo amore, fondi dirottati alle puerpere con un’astuta mossa e altro ancora

Ciccina e Peppino orchestrano una serie di strategie per fare del bene. Si comportano, a loro modo, come eroi nell’ombra.

Lo stile, un nonno per amico Donna Francesca Savasta, intesa Ciccina di Laura Lanza è un romanzo breve (192 pagine). Finalista alla XXXII edizione del Premio Calvino di Torino, si tratta della prima opera dell’autrice, nata a Roma. Per conoscere il dialetto e la storia di Sicilia, Lanza ha compiuto numerose ricerche.

L’opera è narrata in terza persona. La scrittura è semplice, forse un po’ ripetitiva, caratterizzata da formule, in un siciliano antico e genuino.

Conoscete l’espressione “botta ri sali!”? Letteralmente significa “botta di sale”. È una imprecazione che si usa quando qualcosa va storto. Il modo di dire viene spiegato in un passo: “Dovete sapere che l’origine di tale frase risale al duro lavoro dei minatori che estraggono il sale in gallerie accussì buie e anguste che può capitare di sbattere la testa contro le pareti”.

Come si evince dal passaggio, l’opera è scritta in un dialetto italianizzato, reso più comprensibile da un piccolo vocabolario alla fine del romanzo.

Il mood del libro è ironico e gioioso. Tutto può andare bene. Anche le situazioni più complesse possono aggiustarsi. L’autrice stessa ha definito il suo lavoro “un po’ commedia e un po’ farsa”. I canoni della commedia plautina sono rivisitati in chiave sicula.

A un’analisi più di pancia, leggendo le vicende di Ciccina sembra di ascoltare i racconti di un nonno siciliano. Riuscite a vederlo? La coppola grigia a scacchi, il pancione rotondo, la stazza taurina, la pelle un poco ambrata. Sta raccontando una storia. Forse è un po’ sconclusionata. Parla in un misto di dialetto e italiano. Ci sembra un filo sopra le righe, tragica eppure leggera, permeata da un incrollabile umorismo alla Zorba il greco.

Eroe, salva te stesso… L’epilogo Si dice medice, cura te ipsum, per invitare il medico a prendersi cura di se stesso. E l’eroe? Anche gli eroi si stancano. L’ultimo episodio del romanzo è destinato proprio a Ciccina e Peppino. Un’ultima avventura darà loro modo di ingannare anche la morte. Riusciranno ad amarsi liberamente?

Cosa rimane dalla lettura di quest’opera? L’invenzione di un personaggio simpatico e forte. Ciccina è una figura femminile evoluta ed eroica. Non si limita a desiderare nell’ombra. Vive piuttosto la sua passione fino in fondo. La sua arma migliore è la creatività, con cui gioca con le convenzioni, per aiutare gli altri. Salvando l’apparenza, riesce a realizzare non l’impossibile, ma un possibile più lieto.

IL LIBRO Laura Lanza, Donna Francesca Savasta, intesa Ciccina (Astoria)

  • Laura Pizzo è una copywriter freelance
I social: