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Bentornate Signore dell’arte. Riapre a Milano la mostra con 130 opere di 34 artiste

Di fronte a Cleopatra, dipinta nel 1664 circa da Elisabetta Sirani (immagine qui sotto), si può forse scorgere in tutto quel bianco della pelle e quel rosso del velluto sulla tela un rimando alle madonne di Tiziano.

Palazzo Reale a Milano ha finalmente riaperto le porte al pubblico con la mostra Le Signore dell’arte. Storie di donne tra ’500 e ’600 (fino al 22 agosto, catalogo Skira) e il nome di Gioia Mori, curatrice con Anna Maria Bava e Alain Tapié, è una garanzia dell’importanza di questo evento realizzato da Arthemisia con il sostegno della Fondazione Bracco, che s’inserisce nell’ambito della rassegna I talenti delle donne, promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Milano.

La mostra espone 130 opere firmate da 34 artiste vissute tra il Cinquecento e il Seicento.

Le signore dell'arte Palazzo Reale Milano
Elisabetta Sirani. Cleopatra, 1664 circa. Olio su tela, 110×91 cm Collezione Privata

La luce è lo strumento con cui la Sirani rivela le forme, mentre la densità e l’impasto del colore insieme al chiaroscuro testimoniano la conoscenza dell’artista nei confronti dell’arte veneta.

È un gesto del suo personaggio che la schiera contro l’abitudine a rappresentare Cleopatra con Antonio o sul punto di morire.

Qui siamo di fronte a una donna sola, che con la propria figura occupa la tela e accentra su di sé gli sguardi e l’attenzione, da vera padrona del palcoscenico. Assente il generale romano suo amante, Cleopatra, che tradizionalmente è rappresentata nell’atto del suicidio, qui è ritratta in procinto di lasciare cadere in una coppa d’aceto un suo orecchino, una preziosa perla barocca in segno di sfida, in una competizione di ricchezza con Marco Antonio. È un’opera ricercata che l’artista dirige con rigore ed eleganza e il disprezzo di Cleopatra nei confronti della perla la proclama vincitrice, più ricca di Antonio.

È interessante osservare il gesto che fa trasparire il senso della rappresentazione. L’uso di braccia e mani come indicatori s’impone nel Quattrocento e diventa una delle formule più amate dalla modernità. Dal Cinquecento in poi i dipinti sono pieni di guarda lì, un artificio che movimenta la composizione guidando lo sguardo dello spettatore. Il Barocco e il Rococò fanno un uso costante del cosiddetto punto d’ingresso dell’opera, fino alla leziosità di certi epigoni.

Donna colta, Elisabetta Sirani per questo soggetto si ispira non solo alla tradizione pittorica ma anche a fonti letterarie importanti come la Vita di Marco Antonio di Plutarco. Nata a Bologna da un allievo di Guido Reni, nei suoi 27 anni di vita riesce ad affermarsi e a superare il padre in bravura e produzione artistica.

L’empatia delle sue figure femminili, come nelle opere di altre artiste esposte in questa rassegna, deriva dagli studi dell’anatomia che le donne facevano a quei tempi. Non erano ammesse all’Accademia, quindi per studiare le proporzioni, i muscoli, le posture, le espressioni si basavano su calchi in gesso e su uno strumento preziosissimo: lo specchio. Le artiste erano modelle di loro stesse. Sarà proprio la Sirani, nel 1660, a fondare la prima Accademia italiana di Disegno per sole donne, dove si dipingeva e non solo, si leggeva e si cantava.

Nelle stanze di Palazzo Reale s’incontrano opere di Ginevra Cantofoli, allieva della Sirani, di Lavinia Fontana, di Fede Galizia e soprattutto della più celebre, discussa e conosciuta fra le artiste di quei secoli, Artemisia Gentileschi.

La sua Cleopatra, raffigurata con estremo realismo nell’atto di suicidarsi con il morso di un aspide non possiede la fierezza del personaggio della Sirani, ma è ricca di malinconia e il suo sguardo riflette i sensi che svaniscono per il veleno della serpe. Non è un nudo che vuole essere bello o sensuale, è un nudo che rispetta il realismo nella rappresentazione del corpo di una donna disperata.

Questo percorso nelle sale di Palazzo Reale si presta, tuttavia, a una seconda lettura e riflessione.

Ai visitatori abituali delle mostre sarà sorto un dubbio sul motivo della scarsa produzione di opere di artiste e sul perché sia difficile trovare un capolavoro firmato da una donna.

Non si desidera qui fare un discorso retorico o polemico sulla difficoltà che le donne hanno incontrato, e tuttora incontrano, ad affermarsi professionalmente.

Ci sono due condizioni che vale la pena di citare, poi ciascuno è libero di trarne le proprie conclusioni.

Il talento, senza differenza di genere, deve incontrare un ambiente sociale, economico e relazionale che lo favorisca, e nel Cinque/Seicento questo contesto alle donne era precluso.

Il talento, poi, deve essere riconosciuto, ma ancora all’inizio del Novecento, testi importanti di storia dell’Arte non citavano, o solo marginalmente, opere di artiste.

Un’ultima notazione: Artemisia Gentileschi meriterebbe sempre una mostra personale.

La mostra. Le Signore dell’arte. Storie di donne tra ’500 e ’600, a Palazzo Reale a Milano fino al 22 agosto da martedì a domenica dalle 10 alle 19.30. Il sabato, la domenica e nei giorni festivi la mostra sarà visitabile solo preacquistando il biglietto. Il preacquisto dovrà essere fatto almeno il giorno prima (non è possibile preacquistare il giorno stesso). Tutte le informazioni cliccando qui.

 

 

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