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Allonsanfàn
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Gli Estinti. Anime e luoghi persi e ritrovati in eleganti reportage di confine

Be’, ci dev’essere qualche cosa che resiste nel tempo, e che soprattutto sia nostro, nel senso di umano-molto umano; qualche cosa che non s’impigli nel disastro dell’alienazione provocata dallo strapotere delle macchine le quali ci spossessano di noi, e della verità, mentre raccolgono tutti questi dati in fondo futili e inutili. Be’, questo qualcosa di nostro-molto nostro esiste, ed è la morte.

Ecco, sì. Quella, non la condividiamo con le macchine: non la capiscono, non la capiranno mai. Forse neanche noi ne cogliamo il senso, eppure… Ma forse vi mette di cattivo umore questa scoperta, che sembra portare con sé la certezza dell’estinzione (in tempo di pandemia per di più)?

Allora, ecco che, dopo aver rubato queste considerazioni a Nicola Feninno, prefatore ed editor de Gli Estinti, l’invito è prendere il toro (imbalsamato e poi vediamo perché) per le corna e leggere il libro stesso, da solo o incastonato in un cofanetto fluo (color verde mela), insieme agli altri due altrettanto eleganti e precedenti volumetti pubblicati da CTRL books, Gli Ultrauomini e I Dimezzati.

Gli Estinti sottotitolo Anime e luoghi che furono e che sono – completa la trilogia e, in una possibile “svolta del respiro” (Paul Celan), conta 18 reportage narrativi, 1 reportage fotografico più una lettera dal XXIII secolo: “storie vere di persone e luoghi appartati o ribaltati, testimoni di un passato che non passa, profeti di un futuro che forse non sarà”.

Per esempio. Valerio Millefoglie sceglie una strada quasi obbligata, ma lo fa con garbo particolare e la capacità di mettersi in ascolto. Incontra una medium in Aldilà di noi: è Silvia, che tiene corsi di “medietà” nel weekend e nel resto della settimana fa l’informatica. L’intervista conduce un passo più in là del prevedibile nel ricordo di chi è morto.

Altrove, si cerca “il brivido dell’immortalità” in mondi che la conferiscono ad honorem, come quello dello spettacolo, in fondo contiguo all’arte. Lo sa bene Silvia Bottani che mette a fuoco il ritratto di un sopravvissuto in L’uomo con la M.D.P. Se ne occupa Luca Pakarov in Uccidere Van Damme con un divertente scoop: ricostruisce l’avventura losangelena di un toscano che fa un’apparizione saliente in un film low budget dove, unico al mondo, ha il privilegio di stecchire Van Damme. Il quale Van Damme, più che un immortale del cinema come dovrebbe essere, sembra un fantasma aggiunto in post produzione.

Chi crede che la vita eterna possa dimorare nella discendenza del sangue legga Zeno Toppan: forse per consonanza col suo nome di battesimo, oltre che per vicinanza di abitazione – siamo intorno a Treviso -, scandaglia la gloriosa stirpe degli Zeno. Che ha dato alla Serenissima un Doge ma in un Natale del 1967 vede morire senza figli l’erede superstite. Ne L’ultimo degli Zeno si intuisce che per veder sbiadire il filo rosso di un nobile casato, anzi vederlo spezzato, basta una svista.

Ancora. Francesca Scotti, che abita metà dell’anno in terra giapponese, cerca le vestigia di un’Italia immaginata in un parco tematico tricolore a Nagoya cui doveva arridere chissà quale successo. La sua passeggiata letteraria si svolge con grazia orientale tra i segni, gli echi lontani di una “realtà” scomparsa. Non ha funzionato è il titolo del testo che termina davanti a una serie di superstiti parole italiane “sbagliate” ma evocative, simili a quelle che si trovano nei lapsus o nei sogni. Sono una buona indicazione per chi parla di estinti…

Proseguite voi la lettura, intervallata dalle immagini, alcune raccolte da Luca Rotondo sul posto di lavoro di un tassidermista, mostrando il savoir faire e l’abilità artigianale con cui si può conservare (in modo sconvolgente) il corpo di qualcosa che viveva; vi scontrerete con la durezza del porfido, cui Filippo Tuena, il decano della pattuglia di scriventi, dedica una dotta ricognizione storica o vedrete l’estinzione attraverso gli occhi della più piccola reportagista, Elettra Carboni: in una serie di disegni fatti a 7 anni scarabocchia Come si muore.

Mi interessa sottolineare l’uso del termine reportage, che nel giornalismo attuale è azzardo o sinonimo di vintage – essendo quasi estinto anch’esso – e che viene qui corretto con l’aggettivo “narrativo”, forse per alzarne il grado di “artisticità” – in fondo i reportage “normali” di solito finiscono sui mensili patinati nelle sale d’attesa dei dentisti. Comunque: insieme alla bella corporeità del volume, curato nella grafica e nella scelta dei caratteri, nella stampa e nella colla, pure la scelta di questa etichetta (“reportage narrativo”) dà l’impressione che sia tuttora possibile – ricordate le macchine di cui sopra? – rimanere un po’ vivi, guardarsi negli occhi, sgomentarsi o, se va proprio bene, sorridere. Si può pure fare un reload e acquistare i primi due volumi della trilogia.

 

IL LIBRO Aa. Vv., Gli EstintiAnime e luoghi che furono e che sono, CTRL books (info su CRTL)

 

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