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Allonsanfàn
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Baggio, il Divin Codino e le fiction terra terra dei santi del calcio

Dunque. Il titolo del biopic in streaming su Netflix è Il Divin Codino. Il Codino in questione, cioè Roberto Baggio, è tra l’altro buddista da quasi subito – fa a tempo appena a seccare due beccacce, ma anche dopo la conversione la caccia non sarà un gran problema.

E tu ti aspetti, seguendo la freccia semantica, che Roberto Baggio sia il campione della spiritualità più pura reincarnato sui campi di calcio. Certo, il soprannome di Divin Codino butta un po’ verso il Divin Marchese, ma solo per ignoranza, i nickname e i giochi di parole non sono sempre giustificati.

Ti aspetti dunque nel biopic o meglio nel biografico stile RaiUno (perché tale è la sintassi filmica) le profondità abissali di un’anima collegate ai tacchetti degli scarpini e agli scarti ispirati dei dribbling e invece Il Divin Codino è basico e materico come la didascalia di una vecchia figurina Panini – partite giocate tot, gol fatti o subiti altro tot.

L’opera di Letizia Lamartire (nomen omen) interpretata dal bravo Andrea Arcangeli (doppio nomen omen) è invece né più né meno la storia di un bambino che promette al papà di vincere i Mondiali contro il Brasile, dopo che ha visto il babbo affranto in quella nottataccia dei Settanta, e che non riuscirà a mantenere l’impegno perché tanti anni dopo proprio lui sbaglierà un rigore decisivo.

A parte l’uso di un collaudato scioglilingua buddista, i tratti più spirituali del biopic si rivelano essere un Arrigo Sacchi abbastanza ascetico ma assai stronzo e un Carletto Mazzone-Papa Buono, schietto e conoscitore d’anime alla pane e salame. Il resto è semplicemente un “io ce la farò, forse mollo tutto, anzi no” collegato alla vaga impressione che Baggio sia un predestinato. Ma predestinato a che cosa? Al successo più concreto che ci sia, quello degli score delle partite, visto che tra l’altro, per evidenti ragioni di copyright, qui di giocate autentiche non se ne vedono. E allora la mesta morale della fiction si fa d’improvviso calvinista-degregoriana (“Nino, non aver paura dì sbagliare il calcio di rigore…”), eludendo il manifestarsi e lo scomparire del “sacro pedatorio” insito nella versione di Cesare Cremonini (“ah, da quando Baggio non gioca più… Non è più domenica…”).

Che dopo tanto silenzio narrativo sul mondo del calcio, complici e levatrici i gargarismi virtuosi di giornalisti in trance breriano – le loro trasmissioni costano poi poco perché ci sono loro in primo piano e dietro c’è il filmato di YouTube -, che dopo tanto silenzio snob, il pallone meriti di entrare dalla porta principale della fiction è sacrosanto. E pure Totti è stato appena onorato con una serie che nel titolo contemplava, guarda caso, un richiamo all’aldilà – Speravo de morì prima (Sky). Ma chi si immaginava che questo Divin Codino fosse qualcosa di particolarmente sofisticato per i nostri tempi orbi di autentici idoli, rimanga a rimpiangere  il sorriso enigmatico e metafisico di Pizzaballa, l’immaginetta che mancava sempre per completare l’album di figu d’antan.

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