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Allonsanfàn
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Serie. Hausen, horror tedesco nel condominio che ci mangia l’anima

Hausen. Puntata numero uno. Padre e figlio, Jaschek e Juri, raggiungono a sera il condominio – un conglomerato di orrende costruzioni tipo una verticale banlieu dello squallore. Il padre è il nuovo “manutentore” (sic) dell’edificio, qualifica che si rivela non da poco: avrà molto da aggiustare…

Fin dalle prime immagini la miseria post industriale – tra lunghi corridoi popolati di thugs e bidoni di monnezza, ravanati da mezzi zombie – avvisa che il buio del posto è interiore oltre che esteriore.

Altrimenti detto: il luogo è maledetto, più di… e a questo punto di solito si cita Ballard (distopia per i colti) e Amityville (horror per il popolo). Ma oggi, per stare al reale, facciamo il paragone con qualche Plattenbau di Berlino Est e impariamo che la miniserie tedesca, ideata da Till Kleinert (Berlino, 1980) e diretta da Thomas Stuber (Leipzig, 1981), è stata girata nell’ex ospedale governativo della RDT nel quartiere Buch di Berlino.

Comunque. L’immagine virata, spesso blu petrolio, chiazzata di rosso e di bianchi lividi, secondo tradizione di un serial che si intesta la rozzezza materica dell’analogico, non si schiarisce nemmeno quando fa mattino. Hai voglia dei cornflakes? Macché. Juri abbozza, Jaschek comincia a riparare i termosifoni di una famiglia post punk così scassata da non aver dato un nome al figlio neonato, il quale poi scompare (e si sente piangere nei muri – muri che si aprono e chiudono come ferite – a metà tra Blob e Aleph borgesiani).

 

hausen

Intanto, un vicino d’appartamento si fa d’eroina e levita per i fatti suoi. Colonna sonora? Elettronica cupa senza beat e si fa notare un brandello di Burning Down The House dei Talking Heads – l’anno di ambientazione è incerto, i telefoni scassati hanno i tasti, ma si paga in euro. Nel secondo episodio, compare un vinile di Bach e un colto inquilino déraciné spiega a Juri l’arte (ovviamente) della fuga.

C’è una trama in Hausen? Certo. Nei primi segmenti, più che narrare il regista ci porta a spasso nelle tenebre vere e metaforiche del serial. Ma il passo lento e lo sguardo allucinato che “crea un’atmosfera” – sono il leitmotiv formale di tutto Hausen; e basta poco per accorgersi che il complesso residenziale vive e si nutre della sofferenza di chi ci abita – idea non inedita ma sempre abbastanza spaventosa.

Due strade interpretative – e oziose, perché conta solo se la storia vi prende – mentre un cane dal collare acuminato porta il Manutentore davanti alla purulenta macchia nera sul muro: a) il condominio – recalcatianamente – risponde a un infernale codice materno, è un super utero al contrario che ci succhia la linfa vitale, per quel che ne è rimasta; b) il condominio è stato concepito da un team di cineasti che, senza sovrastrutture particolari, mescola nel tumbler arrugginito ottimi spunti e luoghi comuni di un genere, Kafka e Bosch (non il detective), e shakera fino all’estenuazione della pazienza degli spettatori, soprattutto di quelli che con un televisore troppo poco HD nel buio si inquietano a caso, non vedendo niente.

Hausen è una miniserie televisiva tedesca girata per Sky Deutschland dalla società di produzione Lago Film. Protagonisti Charly Hübner, Tristan Göbel e Alexander Scheer. Da noi su Sky Atlantic e Now Tv.

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