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L’ultimo Monet. Le ninfee dal Marmottan a Milano

La mostra che Palazzo Reale a Milano dedica a Claude Monet, fino al 30 gennaio 2022 (catalogo Skira), è un piccolo regalo del Musée Marmottan Monet di Parigi.

Paul Marmottan, figlio di Jules, il proprietario del palazzo, amava l’arte accademica dello stile Impero e visitò Palazzo Reale mentre era occupato dai Savoia (1840 circa). Ecco perché, nella prima sala della mostra, gli arredi rendono omaggio allo stile accademico, così come i quadri esposti, che presentano uno sfumato morbido e una pennellata levigata e lucida.

Michel Monet, secondo figlio di Claude, lasciò i quadri invenduti del padre al Musée Marmottan che già custodiva quell’Impressione, levar del sole di Claude Monet, da cui il nome del nuovo movimento di artisti parigini: gli Impressionisti. Un’opera che non è in mostra e che da Parigi sono molto riluttanti a far viaggiare.

Lo stile Impero e l’Impressionismo di Claude Monet s’incrociano nelle sale del Musée Marmottan che in onore dell’artista prenderà il nome di Marmottan Monet. Il paesaggio accademico trova il suo significato nella presenza delle rovine classiche in mezzo alla natura, nello sfondo scuro, nelle pose auliche dei personaggi, nell’attenzione al soggetto definito dal disegno: ed è il paesaggio amato da Paul Marmottan. Al contrario, un pretesto utile allo studio della visione, del colore e della luce è il paesaggio dipinto da Claude Monet. La sua è una costante ricerca delle variazioni e degli effetti di luce sullo specchio dell’acqua, una materia profonda e vera, ma costantemente mutevole perché soggetto mobile, che si fonde e si confonde con il cielo.

Lo stagno delle ninfee Monet Palazzo Reale
Claude Monet Lo stagno delle ninfee, 1917-19, Olio su tela, 130×120 cm. Parigi. Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1996, Inv. 5165 @ Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

Nelle tele dedicate alle Ninfee si rispecchiano immagine e pittura. La prima, dal latino imago, rimanda all’immaginazione, al sogno e al riflesso. La seconda, da pictura, si riferisce al quadro concreto e alla superficie materiale. Ecco che, alla distanza di un metro dai quadri, si percepisce il soggetto; avvicinandosi alla tela, invece, l’immagine cede alla matericità delle pennellate.

Nelle sale della mostra, allestite con eleganza da Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet, si scopre l’attenzione dell’artista all’immanente e l’uso della pennellata veloce per catturarlo, ma anche lo studio che Monet dedica alla luce e all’acqua e alla loro interazione con il paesaggio nei diversi intervalli temporali. Nel suo giardino a Giverny disponeva diverse tele, l’una accanto all’altra, e su ognuna lavorava per un breve periodo della giornata, sempre il medesimo per ognuna, per mostrare come cambia la visione di un frammento nelle diverse ore del giorno.

In una delle prime sale c’è un piccolo quadro di Johan Barthold Jongkind, pittore olandese apprezzato da Monet e capace di riflettere sulla tela l’effetto del riverbero, ossia l’immagine del paesaggio abbagliato dalla luce.

È una mostra che celebra soprattutto il Monet degli ultimi anni, quello delle Ninfee e del ponticello nel giardino della sua casa a Giverny. Un Monet che sulle tele ripete il soggetto: i fiori, la galleria delle rose, il ponte, i salici ma sempre alla ricerca ossessiva della cattura dell’istante.

Non solo l’istante visibile ai nostri occhi, quello che lo sguardo vede in un momento preciso e che un minuto dopo non sarà più così, ma anche l’istante in cui la luce bagna le forme ed esse si rispecchiano nell’acqua. E dunque una pennellata più fluida rappresenta lo stagno e i salici che si riflettono e una pennellata più ricca di materia e di colore rappresenta i fiori che galleggiano.

«Due cose ho saputo fare» diceva Claude Monet «coltivare le piante e dipingere»: sembra che l’artista lo ripeta nel piccolo giardino di Giverny riprodotto in formato multimediale a metà percorso della mostra. Emozionante come, all’ingresso, l’ambiente fluido che stringe lo spettatore tra i fiori.

Il Monet degli ultimi anni è un artista novecentesco, delle forme sfatte, quasi astratto, probabilmente contro la sua stessa volontà. Dipinge ciò che vede con una vista che fa i capricci. Aiutato dalla grande conquista dell’Impressionismo, per cui le ombre non sono nere e il mare non è blu, ma la legge la dettano i colori complementari: così le rocce rosse alla sera si bagnano di ombre verdi, perché rosso e verde sono appunto colori complementari. E la visione piatta ispirata dalle stampe giapponesi, così il cielo riflesso nell’acqua, i fiori che galleggiano e il salice che scende sopra essi appaiono in un’immagine bidimensionale.

Ponte giapponese Monet Palazzo Reale
Claude Monet Il ponte giapponese, 1918-19 circa, Olio su tela, 54×65 cm. Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet 1966, Inv. 5177 @ Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

Quanto di tutto questo verrà studiato da Kandinskij e da Pollock!

Lo stile neoclassico di Marmottan, l’espressionismo di Pollock, tutto ciò gravita intorno a un Monet immerso in quella che alcuni critici hanno definito la sua metafisica: la cattura dell’istante. E le Ninfee diventano un anello di questa catena di coincidenze che lega fra loro i grandi episodi della storia dell’Arte.

In apertura: Claude Monet (1840-1926) Ninfee, 1916-1919 circa, Olio su tela, 130×152 cm. Parigi. Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1996, Inv. 5098 @ Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

La mostra è aperta da martedì a domenica dalle 10 alle 19.30, giovedì fino alle 22.30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso. Informazioni su monetmilano.it.

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