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Maggiani e L’eterna gioventù della sua gente in cerca di giustizia

Sembrerebbe che non se ne siano accorti in molti, ma ad agosto Maurizio Maggiani è tornato nelle librerie con L’eterna gioventù (Feltrinelli). Se così è, forse, può imputarsi al fatto che l’uomo è di carattere schivo: per il lancio del libro, mi pare, ha rilasciato solo un’intervista all’Espresso e ha fatto una comparsata in tv. Ma del resto questo è sempre stato il suo stile, stare nella solitudine della campagna per scrivere e poi uscirne con dei libri che prendono il volo come per incanto, conquistando anche premi importanti a cominciare dal Viareggio e dal Campiello del 1995 attribuiti a Il coraggio del pettirosso (chi non lo ricorda?) e, su su, con opere e premi successivi. Io credo che si scoprano le sue qualità solo leggendo, privo com’è, nonostante questi premi, della predisposizione alla vita mondana nel giro del nostrano milieu letterario.

Maggiani anche nel comporre è particolare, fra la prosa e la poesia, con un andamento che ne fa narratore da ascoltare in silenzio, dentro le mura di casa, magari in una cascina e vicino al camino, come certi poeti-contadini della mia infanzia. Si sa che in campagna lui ha deciso di vivere anche dopo i primi successi, nella Romagna faentina, un po’ double face come i luoghi in cui è nato e vissuto: dal mare di La Spezia alle montagne delle Apuane, i tiepidi mari dell’estate e della primavera, e i freddi marmi portati allo scoperto persino fra le nevi dalle esplosioni dei cavatori di montagna. C’è una storia di sogni e d’anarchia, voglio dire, che spira tra La Spezia e Carrara così come nella Romagna in cui Maggiani vive oggi, scrive e fotografa gente degna e semplice (parole riscontrabili in un suo breve profilo) che ha lavorato tutta una vita conscia del proprio ruolo e della propria identità.

Ecco, dunque, che L’eterna gioventù, ambientato tra la Riviera di Levante e le Apuane, con incursioni all’estero (si parla anche della Russia e dell’America), appare come l’opera di un libertario che tra le suggestioni dei garibaldini, dei comunisti e degli anarchici, ci racconta la vita di una genia cui sente profondamente di appartenere. Alcuni si sono chiesti quanto c’è di autobiografico in questo nuovo libro di Maggiani. Io penso che non sia rilevante conoscere la risposta. “Genia”, dalle nostre parti (tra La Spezia ligure e la Carrara toscana), ha un significato diverso dal termine “gens” in cui i latini individuavano una catena presuntivamente di alto lignaggio, o una stirpe patrizia di cui andar fieri.

“Genia” sta a indicare successioni, parentele, legami che esistono nel bene e nel male, ma è sicuro che i legami di cui scrive Maggiani s’impongono nel segno della passione, dall’anelito alla ribellione e alla lotta per la giustizia sociale. Legami marcati (talvolta anche pesantemente) da vittorie e sconfitte, con la sensazione che l’insieme costituisca un fattore di eterna gioventù sia per chi lo porta lontano come l’aristocratica Esfir che tornerà in patria per partecipare alla rivoluzione russa, sia per chi rimarrà centenaria fra la sua gente come la Canarina, figlia di Esfir e di Garibaldo, uomo semplice e forte che aveva seguito l’Eroe dei due mondi in tutte le sue avventure fino al termine della parabola. E poi, nel racconto, troverete anche un cameo per Sandro Pertini (ufficiale di uno degli altri personaggi nella prima guerra mondiale) e per le sue pipe.

In una pagina, dopo il frontespizio, un paio di epigrafi e l’indice, troverete anche l’intreccio delle parentele che ogni tanto dovrete consultare se non vorrete perdervi, perché i ricordi, le emozioni, le date e le persone si affolleranno davanti ai vostri occhi in modo apparentemente disordinato, come quando i pensieri frullano nella testa e nel ritrovamento si scoprono legati l’uno all’altro dall’amore e dalla storia, senza frasi dirette come avviene nei dialoghi, bensì per richiami immaginifici. Il racconto di Maggiani, in fondo, se proprio vogliamo scoprirci un antecedente nella grande letteratura contemporanea, si può dire che fluisce come un fiume agitato nella foresta, o il mare che si infrange negli anfratti portuali, una specie di Cent’anni di solitudine in cui, senza una guida, non sarà difficile smarrirsi.

IL LIBRO Maurizio Maggiani, L’eterna gioventù (Feltrinelli)

 

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