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Allonsanfàn
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Il proporzionale, da Euclide a noi

Disegnate un quadrato, poi calcolate dove si trova il centro di uno dei lati; mettete il compasso su questo punto e quindi tracciate una curva che congiunga il vertice non adiacente all’intersezione della linea che prolunga il lato del quadrato. Così, più o meno, lo descrive Euclide. Se non avete capito, guardate la figura: è più facile da fare che da spiegare. Questo è il rettangolo perfetto, perché la proporzione tra a e b è un numero irrazionale, conosciuto come numero aureo o costante di Fidia o proporzione divina. Ritroviamo questa proporzione nel Partenone, nella Mona Lisa leonardesca e nei quadri di Mondrian, in Debussy e in Firth of Fifth dei Genesis. Nel rispetto rigoroso di questa proporzione, matematicamente irrazionale, c’è la bellezza; almeno così pensavano gli antichi, e anche molti moderni.

Lo so, l’ho presa alla lontana, ma anche in politica abbiamo bisogno di proporzione, che sarà anche irrazionale, non sarà bella come la Gioconda, ma è la migliore legge elettorale possibile. Per trent’anni ci hanno spiegato che il proporzionale era il male e che questo paese si sarebbe salvato solo introducendo il maggioritario, anzi sempre più maggioritario. Anch’io ci sono cascato a suo tempo, anch’io ho sostenuto che era necessario superare il proporzionale e aprirsi al maggioritario, ho dedicato una parte del mio impegno politico – che allora era anche il mio lavoro – a fare in modo che questo avvenisse, perché bisognava garantire prima di tutto la governabilità. Si è trattato di un errore fatale, che alla lunga ci ha uccisi, perché il maggioritario è stato una sorta di cavallo di Troia, usando il quale i nemici della democrazia sono entrati dentro i bastioni e hanno distrutto la città.

Ci eravamo talmente convinti che ci siamo dimenticati di un punto fondamentale: un sistema elettorale non è mai più forte della politica. Pensiamo alla storia repubblicana, a quegli anni che per convenzione chiamiamo “prima Repubblica”: c’era il proporzionale, eppure il sistema politico era stabile, anzi era troppo stabile, tanto da sclerotizzarsi e quindi morire. Quando i fautori del maggioritario hanno cominciato il lavaggio del cervello, dicevano che finalmente avremmo saputo la sera delle elezioni chi aveva vinto. Allora, al tempo del proporzionale puro, lo sapevamo benissimo: chiuse le urne, sapevamo che aveva vinto la Democrazia Cristiana. Era così perché quel partito aveva molti voti, la maggioranza dei voti, era un partito di massa radicato profondamente nel territorio e aveva molto consenso nel paese – su come otteneva parte di quei voti e di quel consenso non è il tema di questa riflessione, ma questo non inficia il mio ragionamento – e c’era un quadro politico internazionale che impediva altri possibili esiti. Tanto è vero che quando parve che la situazione politica italiana potesse cambiare, in maniera blandamente radicale, ma troppo radicale per qualcuno, ci fu un pesante intervento esterno che riportò l’ordine, il “loro” ordine: la storia italiana dal 1969 al 1980 – la stagione delle stragi e del terrorismo – racconta in sostanza questo. Non era il sistema elettorale che garantiva quella stabilità, erano altri fattori, politici e storici. La legge elettorale serviva a fotografare, nella maniera più realistica possibile, quello che succedeva nella politica del nostro paese: questo deve fare una legge elettorale, non può sostituirsi alla politica.

In Italia invece è avvenuto proprio questo. Ci siamo convinti – ci hanno convinto – che bastasse cambiare la legge elettorale per trasformare il Paese. E così abbiamo introdotto il maggioritario per eleggere i consigli degli enti locali e l’elezione diretta di sindaci, presidenti di provincia e di regione, e abbiamo sperimentato varie soluzioni per rendere sempre più maggioritaria la legge attraverso cui scegliamo i nostri rappresentanti in parlamento, accarezzando l’idea di eleggere direttamente anche il presidente della Repubblica o quello del consiglio. E man mano che facevamo questi cambiamenti la fotografia diventava sempre meno nitida, perché questi sistemi non erano in grado di fotografare la realtà e soprattutto perché quella realtà diventava giorno dopo giorno sempre più confusa. Più non capivamo cosa stava diventando la politica, più credevamo che una nuova legge elettorale ce lo avrebbe chiarito, e così, cambiando le leggi elettorali, introducevano sempre nuovi elementi di confusione.

Quello che è avvenuto in questi ultimi giorni con la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale ne è l’ultima, ennesima, dimostrazione. Anzi rischiamo che questo vecchio galantuomo della “prima Repubblica” sia il primo Presidente della Repubblica “eletto” direttamente dai cittadini. Di fronte all’insipienza dei leader degli schieramenti, un numero sempre più consistente di parlamentari, per motivazioni tutt’altro che nobili, ma solo per salvare la legislatura e quindi il proprio seggio, hanno forzato la mano, eleggendo una persona che ha oggettivamente un seguito molto vasto nel paese. Noi cittadini, anche quelli anarchici e politicamente lontanissimi da lui, terrorizzati da questa classe politica, ci siamo aggrappati al povero Sergio chiedendogli questo ulteriore sforzo.

Ma verrà il giorno che qualcuno dirà che, a questo punto, tanto vale che lo eleggiamo davvero noi il Presidente. E allora non ci sarà Mattarella a salvarci, ma saremo preda della maggioranza peggiore di questo infelice paese. Perché il vero obiettivo di quelli che ci spiegavano che il maggioritario ci avrebbe salvato era quello di diminuire gli ambiti della democrazia, di rendere meno forti le istituzioni, di screditare la politica. È un disegno di cui ora, a trent’anni di distanza, possiamo riconoscere lo svolgimento con una certa precisione e che ci ha portati, in maniera quasi naturale, anche a maldestre e scellerate riforme costituzionali. A volte abbiamo resistito, come con il no nel referendum del 4 dicembre 2016, ma quel cammino è stato solo interrotto, è stato rallentato, non siamo riusciti a invertire il senso di marcia, perché trent’anni di propaganda contro la politica sono lunghissimi e hanno lasciato il segno, perché quel che rimane della politica è per lo più screditata, perché le forze che allora cominciarono quel progetto sono ancora in campo – anzi con Draghi hanno guadagnato palazzo Chigi e sono più forti che mai – mentre noi, che teoricamente dovremmo opporci, siamo deboli, spauriti, divisi. Spesso inconsapevoli della sfida che abbiamo di fronte e dei pericoli che stanno correndo le istituzioni. E noi con loro, perché difendere la Costituzione, vuol dire difendere i più deboli, quelli che hanno bisogno di essere tutelati dalle regole. Ovviamente non basterà una legge elettorale proporzionale, ma almeno riusciremo a prendere ancora un po’ di tempo. Proviamo, anche noi “reduci”, anche noi che non crediamo più alla politica, anche noi che abbiamo rinunciato, a chiedere il proporzionale puro, perché è la legge voluta dai Costituenti, è quella che meglio si adatta all’impianto della nostra Costituzione, è quella che garantisce di più i cittadini. Lo dobbiamo fare anche per fare ammenda dei troppi sì che abbiamo detto in questi trent’anni. Altri che non siamo noi, visto che siamo ormai screditati, dovranno trovare un’altra grammatica, un’altra geometria, rigorosamente non euclidea, un’altra bellezza, e un’altra politica. Dovranno ribaltare il tavolo e ricominciare.

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