Si apre il sipario e in scena si vedono sedie rovesciate, bicchieri, bottiglie vuote, fiori e stelle filanti per terra come dopo una festa finita male. Si respira un senso che ha qualcosa di tristezza. È un’atmosfera evocativa da non-luogo (che potrebbe essere ovunque) quella de Il Dio Bambino, in questi giorni al Teatro Carcano di Milano, protagonista Fabio Troiano con la regia di Giorgio Gallione.
Eppure Il Dio Bambino è una normalissima storia d’amore – occasione per gli autori di indagare su quello che oggi dovrebbe essere un uomo, le sue caratteristiche, la sua maturità – che si sviluppa nell’arco di alcuni anni ed è fatta (come tante storie d’amore) di innamoramento e di egoismo, di tradimenti e di silenzi. Percorso di una coppia dal punto di vista di un intellettuale infantilmente concentrato su se stesso, in bilico fra responsabilità ed eterna adolescenza.
Scritto nel 1993 da Giorgio Gaber e Sandro Luporini, Il Dio Bambino è esempio emblematico del teatro di evocazione di Gaber. E prosegue e approfondisce, dopo Parlami d’amore Mariù e Il Grigio, il suo percorso teatrale.
Il tema attorno a cui tutto si articola è la “crescita” del protagonista che deve decidere se rimanere per sempre bambino (che si vanta della sua affascinante spontaneità invece di vergognarsi di una perenne fanciullezza) o assumersi un ruolo adulto.
Troiano, con un’interpretazione forte e attraverso un racconto-monologo, ripercorre la sua storia con Cristiana, dal primo incontro in un albergo, quando era la donna dell’amico Gilberto, in una parabola di innamoramento, matrimonio, crisi dopo il primo figlio e infine vera comprensione (definita “roba per adulti”). Alterna dialoghi dove si sdoppia in più personaggi, riflette e commenta ogni passaggio alla luce del desiderio, della gelosia, della ripicca. E si muove al ritmo di una base musicale fatta di spezzoni di canzoni di Gaber.
In mezzo c’è tutto: l’esplosione della prima passione, l’andare a vivere insieme, la paura della responsabilità dei figli voluti o non voluti, la giovinezza che passa, i tradimenti, l’orrore per l’abbandono, la freschezza di un nuovo possibile incontro e soprattutto “la necessità di risvegliare una persona: la coppia”.
Uno spettacolo che vede il protagonista – sempre solo sul palco – tracciare il percorso di un uomo che finalmente raggiunge la maturità e scopre la condivisione con la sua donna nel momento della nascita del secondo figlio (che aiuterà a venire alla luce in una sperduta casa di montagna), dopo una prima paternità definita “una cosa meravigliosa più per lei che per me”. Sarà proprio grazie a questo Dio Bambino che troverà, in un crescendo finale, la sua dimensione adulta.
Il testo di Gaber e Luporini è un’indagine lucida, mai autoassolutoria, spietata ma anche affettuosa, che cerca di radiografare le differenze tra un uomo e una donna, così simili e così diversi, con la consapevolezza che, se queste differenze si annullassero, la vita cesserebbe di esistere.
Spiega il regista Giorgio Gallione: «Il testo è del 1993 ma ha ancora straordinaria forza, contemporaneità, modernità. Il protagonista è molto “signor G”, personaggio maschera che Gaber ha inventato e interpretato: uno scrittore, artista compiaciuto della propria diversità e del proprio essere intellettuale che però si porta dietro mancanze, fragilità, frustrazioni, perché non è quello che vorrebbe essere. Con l’eterna sindrome di Peter Pan, raggiunge la maturità quando si rapporta con qualcosa che lo mette di fronte a un grande mistero: la nascita di un bambino».
Ne esce un’indagine profonda e divertente sull’uomo contemporaneo, posto al centro di un teatro disturbante e contemporaneamente intrigante. Che con ironia stimola a ripensare se stessi.
Il Dio Bambino, con Fabio Troiano, regia di Giorgio Gallione, scene e costumi di Lorenza Gioberti, disegno luci Aldo Mantovani, produzione Nidodiragno/CMC con il contributo di Comune di Barletta/Teatro Curci e in collaborazione con Fondazione Giorgio Gaber e Teatro Pubblico Pugliese. Fino a domenica 16 aprile al Teatro Carcano di Milano.
Credit foto: Margherita Ginelli