UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Le radici del Romanticismo di Isaiah Berlin ci consola dai mali di oggi

Letture consolatorie? Solo i bambini ne hanno diritto. Anche di abusare della pazienza degli adulti soccorrevoli di leggere e rileggere la loro storia preferita. Sempre la stessa, guai a introdurre variazioni. Storie la cui profondità si cela dietro a trame cristallizzate nei secoli e puntualmente risolte nella formula salvifica e rassicurante e vissero felici e contenti.

Chi piccino non è più ha imparato a proprie spese che l’arte – e principalmente la letteratura – è l’espressione critica della modernità. Escluso Harry Potter, non c’è salvezza né consolazione in nessuna delle manifestazioni artistiche degne di nota. Niente e nessuno vivrà felice e contento.

L’Ottocento è ben rappresentato dalla povera signora Bovary. Bovarista a sua insaputa, sceglie il veleno per uscire di scena; mentre la Karenina – evidentemente già proiettata nell’età della tecnica – si getta sotto quel treno che l’Autore detestava più del demonio. Il Novecento è Kafka, Joyce, Musil, Proust, Mann. Per dirla con un titolo, è la terra desolata. Non c’è salvezza né consolazione nel secolo talmente lungo che prosegue ancora oggi nel 2023. Hobsbawm, in buona compagnia insieme a Fukuyama, si è sbagliato: il secolo non è breve e la storia prosegue tra crimini e misfatti.

Tuttavia, per quanto sia un evento più raro di un adolescente arguto e consapevole, a volte accade che anche opere di valore offrano qualche sollievo. Le ultime (in senso cronologico) pagine confortanti in cui mi sono imbattuto si trovano ne Le radici del romanticismo (Adelphi), trascrizione di conferenze tenute a Washington da Isaiah Berlin nel 1965. Considero queste pagine tra le più formative in assoluto. Provo a spiegarne la ragione.

Berlin considera il Romanticismo un evento cruciale nella storia del pensiero umano: “Il Romanticismo non ha un interesse puramente storico. Moltissimi fenomeni odierni – il nazionalismo, l’esistenzialismo, l’ammirazione per i grandi uomini… la democrazia, il totalitarismo – sono profondamente influenzati dall’avvento del Romanticismo, che li compenetra tutti”.

E ancora: “Il Romanticismo deve la sua importanza al fatto di essere il più vasto movimento recente che abbia trasformato la vita e il pensiero del mondo occidentale. A me sembra che esso rappresenti il maggior mutamento singolo verificatosi nella coscienza dell’Occidente; mentre tutti gli altri mutamenti verificatosi tra Otto e Novecento mi appaiono, al confronto, meno importanti, e comunque da esso profondamente influenzati”.

Il nostro modo di pensare, di concepire la vita e di vivere le emozioni, l’idea di individuo, di nazione e popolo, sono state condizionate se non addirittura forgiate dalla rivolta contro l’Illuminismo, il movimento culturale e filosofico che presupponeva l’esistenza di un modello di vita chiuso e compiuto. Con il Romanticismo si afferma una teoria della vita e dell’arte assolutamente nuova e inaudita. Ma accanto alla versione ottimistica, vitale e liberatoria di Romanticismo, si manifesta l’altra componente del movimento romantico, cupa e pessimistica, che ossessiona il Novecento; qualcosa che emerge dalle buie profondità dell’inconscio che noi non conosciamo e che frustra le nostre aspirazioni più care. Secondo i pessimisti come Schopenhauer “un immenso, insondabile oceano di volontà senza una direzione, nel quale avanziamo sballottati… senza la minima possibilità di comprendere l’elemento in cui ci troviamo o di dirigere la nostra navigazione… una forza gigantesca, potente, in ultima analisi ostile, cui è del tutto inutile opporre resistenza, e con la quale non serve a nulla cercare di scendere a patti”.

Una paranoia, avverte ancora Berlin, che assume svariate altre forme, talvolta anche più crude: “…si presenta come ricerca di ogni possibile tipo di cospirazione nella storia… si comincia a pensare che forse la storia sia costituita da forze su cui non abbiamo alcun controllo. Dietro ogni cosa c’è sempre qualcuno: forse i gesuiti, forse gli ebrei, forse i massoni… Una paranoia (che) continua ad accumularsi nel corso dell’Ottocento: raggiunge il culmine in Schopenhauer, domina la musica di Wagner, e dà luogo nel Novecento a un formidabile climax in opere di ogni specie ossessionate dal pensiero che, qualunque cosa facciamo, c’è un cancro, c’è da qualche parte un verme nella mela, c’è … qualcosa che ci condanna a una frustrazione perpetua, si tratti di esseri umani che siamo costretti a sterminare o di forze impersonali contro le quali ogni sforzo è inutile”.

Impossibile non pensare al nostro oggi. Alla follia criminale di QAnon, alle sciocchezze dei terrapiattisti, alla ribellione antiscientifica dei no-vax, alle varie forme e correnti che assume il negazionismo, da quello cretino e infantile che nega l’uomo sulla Luna a quello idiota e antisemita che definisce Auschwitz un’invenzione dei vincitori. Nonostante tutto è però altrettanto impossibile non tirare un sospiro di sollievo: l’umanità oltre a produrre meraviglie (un vaccino contro il Covid in dieci mesi, macchine che insegnano ad altre macchine a fare lavori noiosi e ripetitivi ecc.) sforna senza soluzione di continuità anche idiozie e schifezze. Qualcuna, è doveroso rimarcarlo, piuttosto pericolosa. Inevitabile pensare che se siamo sopravvissuti alle paranoie romantiche, forse reggeremo anche l’urto di quelle post-novecentesche.

Di fronte allo spettacolo dell’irrazionale che irrompe nell’esistenza quotidiana è incoraggiante constatare che ciò che oggi ci sbalordisce e spaventa è già avvenuto, e con altrettanta se non maggiore potenza; che esiste una spiegazione storica (o meglio: che è possibile in qualche modo storicizzare) a quello che altrimenti parrebbe pura follia. Intendiamoci, mal comune non è affatto mezzo gaudio, sicché comprendere che un evento nefasto è già accaduto non ne depotenzia la pericolosità. Tuttavia, poiché è l’ignoto e l’inspiegabile la principale causa dei nostri terrori, è consolante scoprire che fenomeni come il negazionismo, la falsificazione paranoide della realtà, il delirio antiscientifico, l’antiglobalismo sistematico non sono manifestazioni originali della nostra epoca. È già accaduto. Siamo sopravvissuti. Nonostante tutto, anche questa volta forse ce la faremo.

***

Isaiah Berlin è, tra le molte altre cose, anche uno storico. Uno storico particolare: si è occupato soprattutto di storia delle idee. Se dagli storici ci si aspetta (più che legittimamente) di “essere convinti di una ricostruzione e interpretazione dei fatti”, da uno storico delle idee ci si attende molto di più. Ad esempio, che ci aiuti a comprendere come si formano e che ruolo e importanza hanno i fenomeni; particolarmente quelli di lunga durata, come li definisce l’École des Annales, che attraversano i secoli e influenzano il modo di vivere e di pensare delle generazioni. Per Socrate, Platone e Aristotile la schiavitù era un’indispensabile ovvietà; Thomas Jefferson, estensore della Dichiarazione di indipendenza americana del 1776, nella quale solennemente si afferma che ogni uomo ha diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, era un felice proprietario di schiavi; nella civilissima Svizzera le donne ebbero il diritto di voto solo nel 1971 (53 anni dopo la Germania, 52 dopo l’Austria, 27 dopo la Francia e 26 dopo l’Italia); tutt’oggi in larga (larghissima) parte del mondo, le donne vivono in libertà condizionata (eufemismo) e gli omosessuali rischiano la pelle. Forse è davvero il caso di pensare che, prima di tutto, è una questione di idee.

 

Credit: File:Isaiah Berlin for PIFAL.jpg” by Arturo Espinosa is licensed under CC BY 2.0.

I social: