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Ispi. Noi, che viviamo nell’età dell’insicurezza

Viviamo nell’età dell’insicurezza. Non da oggi, ma soprattutto oggi.

Incapaci di prevedere, incapaci di prevenire, incapaci di gestire le crisi, incapaci di limitare i conflitti, i principali attori della scena internazionale hanno portato noi, donne e uomini, ad abituarci non solo a parlare di guerra, ma anche a pensare alla guerra.

«Fino a qualche anno fa, tra le poche cose che escludevamo c’era un conflitto tra grandi potenze. Ora ci stiamo abituando a considerarlo». Così Alessandro Colombo, docente universitario a Milano e responsabile del programma di relazioni transatlantiche di Ispi, l’Istituto di politica internazionale, nel presentare L’Europa nell’età dell’insicurezza (Mondadori) che ha curato con Paolo Magri, vice presidente esecutivo Ispi.

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In un mondo sempre più disordinato e imprevedibile, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente innanzitutto, ma anche i flussi migratori, l’inflazione, il costo dell’energia hanno accentuato un’insicurezza difficile da arginare.

Accentuato. Perché insicuri lo siamo da tempo. «Per l’incolumità fisica a causa del terrorismo e del covid» ha ricordato Magri. «Per il ritorno del nucleare. Per la difficoltà negli approvvigionamenti: con la guerra in Medio Oriente abbiamo scoperto che tutto passa attraverso il canale di Suez. E insicure sono infrastrutture come gasdotti, centrali nucleari, canali, ponti».

 

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La presentazione del rapporto Ispi L’Europa nell’età dell’insicurezza (Mondadori).

Non è solo una questione di crisi internazionali. Anche il rapporto con la scienza si è deteriorato. Su quanto accaduto a causa della pandemia e sulle conseguenze ha lanciato l’allarme Ilaria Capua, senior fellow of global health alla Johns Hopkins university – SAIS Europe.
«Abbiamo vissuto una crisi sanitaria gravissima» ha detto. E si è chiesta: «Che cosa ci ha lasciato? Innanzitutto la consapevolezza della nostra vulnerabilità, del fatto che può non esserci una soluzione immediata a minacce anche conosciute». Il covid e il lockdown hanno provocato in tutto il mondo situazioni di gravissimo disagio mentale. E ancora. La pandemia ha fatto precipitare oltre 100 milioni di persone in condizioni di povertà estrema: «Queste famiglie non potranno mandare i figli a scuola. Verranno persi investimenti importanti nell’istruzione e nella scolarizzazione. Avremo persone sempre meno capaci di gestire situazioni complesse».

E poi, la conseguenza forse più inquietante: «La polarizzazione dell’opinione pubblica. Una parte ha attaccato le decisioni scientifiche, le ha tacciate di essere “inventate”. Teorie complottistiche di tutti i tipi si sono radicate in alcune fasce della popolazione e hanno creato una ulteriore insicurezza nel tessuto sociale». Si è minata la fiducia nelle istituzioni, la credibilità della scienza.

Che devono essere assolutamente recuperate «perché lo stesso livello di danneggiamento sociale potrebbe essere ricopiato in altre crisi, a partire da quella alimentare da quella climatica».

Il libro. L’Europa nell’età dell’insicurezza (Mondadori) a cura di Alessandro Colombo e Paolo Magri

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Il rapporto Ispi L’Europa nell’età dell’insicurezza è diviso in tre parti.

Nella prima l’insicurezza è considerata in tre delle sue componenti fondamentali: quella politico-strategica, quella economico-finanziaria e quella demografica e migratoria.

La seconda parte esamina le risposte da parte dei principali attori: gli Stati Uniti, la Cina, la Federazione Russa, l’India e il cosiddetto Sud globale, e gli attori mediorientali investiti dall’ultima crisi dell’anno.

La terza parte, infine, si concentra sulle risposte europee: su come, cioè, l’Unione europea stia cercando di reagire rispettivamente all’insicurezza politico-strategica, a quella economica e alla questione demografica e migratoria.

  • Foto in apertura (da televisione): droni iraniani nell’attacco su Israele il 13 aprile 2024.

 

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