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Allonsanfàn
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Il western di Soderbergh. Godless, una ballata di donne, cavalli e fuorilegge

Se il «selvaggio West» è un luogo intramontabile del nostro immaginario, un po’ come l’isola dei pirati o la giungla di Sandokan, ecco che l’immaginario di Steven Soderbergh lo rilancia alla sua maniera con la serie Godless, in sei episodi su Netflix. Ossia mischiando gustosamente tutti gli stereotipi del genere (il pistolero più veloce, il feroce fuorilegge, il bravo sceriffo, la donna solitaria e combattiva) in un racconto ironico, dolente, raffinato, a tratti davvero trascinante e persino un po’ paraculo (nel finale, ma scopritelo da soli).

Trama, in estrema sintesi: verso la fine del 1800, a La Belle, una cittadina in declino abitata da sole donne (gli uomini sono quasi tutti morti in uno spaventoso incidente di miniera) arriva un affascinante pistolero, Roy Goode. Che finisce per annidarsi nella casa di Alice, una giovane vedova (lei è la Mary di Downton Abbey, viso di porcellana, mirabile nella sua inespressività), sconvolgendo la vita di lei, del figlio adolescente mezzo indiano e di tutta la comunità.

Lo insegue infatti, sollevando una polvere minacciosa di presagi, il fuorilegge Frank Griffin (uno strepitoso Jeff Daniels, senza un braccio e con un micidiale sguardo in tralice), che lo vuole morto e giura vendetta e sterminio contro tutti coloro che lo proteggeranno.

La lotta tra il bene e il male è quella di sempre, scontata, si sa, ma non per questo meno appassionante: da una parte Davide con la sua fionda – la piccola città indifesa con le sue donne senza maschi al fianco (ma chissà che alla fine non sia meglio così) – e dall’altra Golia, quella trentina di farabutti decisi a far massacri seguendo gli ordini del loro carismatico capo.

Jeff Daniels in Godbless. Sopra, Michelle Dockery

Se la trama è semplice, circolare e ricca di flashback (tanti), con andamento lento e fotografia sapiente, è nei personaggi che Soderbergh dà il meglio. Lui, il regista della brutale serie The Knick (del 2015, ambientata in un cupo ospedale newyorkese agli inizi del ’900) qui ama senza cinismo i protagonisti della sua storia, e noi con lui. Dello spaventoso (ma qualche sorpresa la riserva anche lui) Frank Griffin abbiamo detto, il nostro preferito resta lo sceriffo – presunto vigliacco – di La Belle, struggente e poetico, e poi la sorella lesbica innamorata dell’insegnante ed ex prostituta del paese, il vice sceriffo ragazzino, pistola veloce e tenera arroganza tipica di quell’età, la vecchia indiana che vive con Alice, muso impenetrabile e fiero passato. E altri, ognuno dica il suo.

La loro danza corale (avvicinamenti, inseguimenti, minacce e profezie, e nel frattempo anche piccole vite quotidiane che vanno avanti, aspettando l’apocalisse), esplode ovviamente nell’ultimo episodio, una travolgente resa dei conti che rievoca e omaggia i grandi duelli e le epiche battaglie del vecchio West.

Non pare ci sia un seguito, ma nemmeno ne sentiamo il bisogno. Vogliamo solo che Soderbergh si metta a fare un’altra serie, che sia bella uguale, e che finisca senza il bisogno di chiedersi il solito «e poi?». Poi basta, va benissimo così.

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