Tre giovani, abituati a muoversi per il mondo, si ritrovano una sera in un caffé di Parigi – Paula Karst, occhi vaiati e strabismo divergente, arriva fiera e affannata da Mosca, dove ha decorato un set di Anna Karenina per Mosfilm: tra sguardi e abbracci, in un continuo dentro e fuori dal locale per fumare, con i discorsi di amore e di sesso lasciati a lato, tipo inciampi da evitare in leggerezza, la rimpatriata è liquida come la prosa di Maylis de Kerangal (Tolone, 1967).
Gli altri due: Jonas sotto l’eterno berretto Yankee è un genio estroso e scostante, Kate, la ragazza di Glasgow con i pesci tatuati che le guizzano sulle braccia, sempre rigorosa fin quasi a danneggiarsi. Paula, Jonas e Kate sono decoratori, affratellati dai sei mesi trascorsi all’istituto di rue Métal a Bruxelles. Sotto gli input quasi sadici della “donna dal collo alto nero”, hanno imparato i segreti dell’illusione, la tecnica del trompe-l’œil.
Parte così Un mondo a portata di mano (Feltrinelli), titolo in apparenza luminoso ma che nasconde un’ombra, come quello di Riparare i viventi, il romanzo che ha rivelato in Italia Maylis de Kerangal nel 2014: là, affrontando il tema di un trapianto di cuore, della tecnologia che amplia i confini dell’esistenza, permettendo a chi resta di “seppellire i morti e riparare i viventi” (dal Platonov di Cechov), in realtà si trattava la desacralizzazione del corpo.
E infatti: qui, quale mondo abbiamo in facile dominio? Forse quello che, con la tecnica – di nuovo -, possiamo riprodurre imbrogliando? È questo il senso …de cet hypnotisant roman sur la fiction et les manières de braquer le réel, come ha scritto Raphaëlle Leyris su Le Monde?
La ricerca dell’autenticità della ventenne Paula Karst, la sua formazione di donna e pittrice, avviene in regime di doppiezza senza netti confini – ricapitolando: vero/falso, artigianato/arte, vecchio/nuovo, noncuranza/amore – mentre passa di cantiere in cantiere, sotto il sopracciglio alzato del padre borghese, impallinato per la cucina, sempre imbelle e laterale tra le sue golose creazioni, salvo uno scoppio di sincerità nel sottofinale.
Il percorso di Paula si svilupperà – nella scrittura di Maylis de Kerangal, anch’essa doppia, poiché mescola termini tecnici e lirismo poetico (sorvegliato) in un romanzo che è anche un saggio sul décor – nei grandi siti dell’inganno. Un set romano a Cinecittà, quello di Habemus papam di Nanni Moretti, che porta Paula a confronto con la Cappella Sistina, e con un poco raccomandabile personaggio italiano, il Ciarlatano. Un incarico a Lascaux per riprodurre la grotta delle grotte, la Cappella Sistina della preistoria, da tempo interdetta ai turisti che ne distruggerebbero l’ecosistema, se non attraverso ben riuscite ricostruzioni: entriamo con lei nel cantiere di Lascaux IV.
Paula, la ragazza pratica ma inquieta che abbiamo imparato a conoscere dall’apparente casualità con cui sceglie gli ingaggi, e nell’amore carsico per il tormentato Jonas, qui si troverà a interrogarsi sull’esistenza stessa del mondo – il vento stormisce tra gli alberi se non c’è nessuno ad ascoltarlo? È il kōan posto in esergo al romanzo, e quindi: ma le grotte di Lascaux ci sono se nessuno ci entra? – fino a tendere l’orecchio, in una notte in Dordogna, per distinguere il suono della radiazione cosmica di fondo, la musica inafferrabile dell’universo.
È vero però che Maylis de Kerangal ci conduce a questo punto – nella terza parte del romanzo, la più bella – con un’abilità e una misura che la proteggono dalla scivolata in cui spesso incorre chi mira troppo in alto. Kerangal, che notoriamente si è presa lodi pubbliche da Pennac ne L’amico scrittore, forse in queste pagine non sarebbe dispiaciuta al Calvino di Palomar.
A margine. La letteratura entra esplicitamente nel romanzo attraverso tre nomi. Dice a un certo punto Maylis de Kerangal che Paula è così attraente, che avrebbe fermato su di sé l’occhio di Jean Valjean, il personaggio di Hugo. Valjean torna nel finale, quando Paula racconta al telefono a Jonas, come venne scoperta la grotta. Il ragazzo Marcel, che si introduce nel 1940 nel singolare tempio, è chiamato il Galeotto poiché assomiglia a Harry Baur, il Valjean dei Miserabili cinematografici.
Gli altri scrittori nominati sono Malraux – ma solo come ministro della cultura che nel 1963 chiude le grotte – e di sfuggita George Batailles, a Lascaux nel 1954 per scrivervi La nascita dell’arte e forse citato non per caso: perché filosofo, come Kerangal, e autore di una scandalosa e impareggiabile Histoire de l’œil.
IL LIBRO Maylis de Kerangal, Un mondo a portata di mano, traduzione Maria Baiocchi (Feltrinelli)
Credit: “Maylis de Kerangal – Le Livre sur la Place 2018” by ActuaLitté is licensed under CC BY-SA 2.0