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Allonsanfàn
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Fake reviews. I migliori Dantedì della nostra vita (e aspettiamo i Gramscidì)

Come già ebbi a scrivere nel mio saggio Da Dante Alighieri a Dante Cruciani, controllo! (cit), per le edizioni Discoinferno, dedicare giornate celebrative al sommo poeta comporta dei rischi.

Il Dantedì scorso infatti si è consumata la consueta polemica con i tedeschi sulla grandezza del celebre fiorentino esiliato. Arno Widmann, scrittore, dalle colonne del Frankfurter Rundschau ha accusato Dante di aver sostanzialmente copiato rubando a piene mani dalle storie degli scrittori provenzali.

Ora, voi non trovate curioso che un feroce denigratore di Dante si chiami come il fiume della città natale del Poeta, in cui Manzoni risciacquava i suoi panni? Tre scrittori e un unico fiume Arno, io alle coincidenze non ci credo, a me mica mi fregano.

Dalle mie inedite ricerche risulta inoltre che la nonna della nonna della nonna, insomma un’antica parente di Widmann la diede a Dante che magari per ingraziarsela gli disse le solite cose che si dicono, ti porto in Italia, ti faccio fare la vita della regina, se mi accarezzi le bozze ti svelo un segreto. Alla fine, come tutti gli uomini, Dante fu ingrato e tornò in Italia da solo senza l’antenata di Widmann e da lì tutta la famiglia Widmann odia Dante.

La giornata dantesca ci riporta alla mente austere professoresse e austeri professori d’italiano del liceo. E, per quanto riguarda questo umile recensore, riporta alla mente anche l’edizione della Divina Commedia curata da Natalino Sapegno, avevo quella illustrata dal Dorè, a cui devo la prosecuzione, inutile, della mia carriera scolastica.

Accadde infatti che nonostante mi piacesse Dante e scrivessi piuttosto bene, la professoressa seguitava a valutare con dei 4 e dei 5 ogni commento ai canti che le presentavo. Feci leggere quei commenti a mio padre, professore a sua volta d’italiano, e ritenne che in effetti i voti erano ingiusti.

Così mi consigliò per i commenti di copiare, senza dirlo a Widmann, tutte le introduzioni di Sapegno ai singoli canti e presentarli come compito senza cambiare una virgola. Continuarono a fioccare i 4 e i 5 finché a un ricevimento dei genitori mio padre fece presente alla professoressa che da mesi metteva 4 a Natalino Sapegno e la cosa non poteva restare impunita. I miei voti cambiarono immediatamente e dall’anno successivo la comunità pastorizia di Orgosolo e le sue scuole si arricchirono di questo elemento di spicco della cultura italiana e non parlo di Sapegno.

Il sequestratore di Dante

Da quando Benigni ha posto sotto sequestro la Divina Commedia, viene chiamato dantista non il filologo ma chi la legge. Che è un po’ come attribuire a Benedict Cumberbatch lo svelamento del codice Enigma anziché ad Alan Turing. Forse è questione di superstizione, mi sono detto pensando ai dantisti italiani.

Il più dimenticato, ad esempio è Antonio Gramsci che nei Quaderni dal carcere commenta il decimo canto dell’Inferno, non casualmente quello dedicato agli eretici. Fa però riflettere che sia Dante che Gramsci fossero due intellettuali di livello superiore ed entrambi siano finiti male, il primo è morto in esilio mentre il secondo è morto in galera. Sicuramente una coincidenza ma meglio non rischiare a dire in giro di essere un dantista, che magari ti arrestano e poi il popolino commenta che se ti hanno arrestato qualcosa avrai fatto. Difficilmente però celebreremo la giornata di Gramsci, Gramscidì suona effettivamente cacofonico.

Comunque, in ogni caso: che barba Dante! Spunta un quadro inedito, una pittura a tempera di fine ’700, in cui il Sommo ha la barba, come nell’antica descrizione del suo primo biografo, Giovanni Boccaccio. Il ritrovamento è di pochi giorni fa ma la notizia che Dante è una barba è nota a tutti coloro che hanno frequentato le scuole secondarie superiori, costretti a commentarlo da aguzzini che mai mancavano di sottolineare che noi studenti eravamo i bruti di cui parlava Dante e non ci pensavamo proprio a “seguir virtute e canoscenza”. Il problema è che non ci siamo mai sentiti a disagio nel ritenerci bruti, visto che il contraltare era questo signore fedifrago che aveva sposato una donna, Gemma Donati, senza dedicarle un solo verso che fosse uno, riversando tutte le sue attenzioni letterarie a Beatrice. Poi scopri che la Donati gli aveva portato in dote soltanto 200 fiorini e un’idea sul motivo te la fai. Chi è dunque il bruto? Se la cavò solo perchè non esisteva il MeToo.

Adesso siamo tutti qui a celebrare Dante (o come equivocò in tv Mike Bongiorno a proposito di un papa: “siamo qui a festeggiare l’anniversario della morte”), ma il vero antesignano della modernità, colui che aveva previsto il lockdown totale centinaia di anni fa è stato Giovanni Boccaccio. Ma non per questo fermeremo i Dantedì. Tra l’altro il vero nome di Dante era Durante, l’artista era attento al suono. Un po’ come Mogol che si chiama Giulio Rapetti, il che ci insegna a diffidare dei poeti che non cambiano nome, perché poi arriva Pasquale Panella che si fa chiamare Pasquale Panella e la musica cambia completamente e non in meglio.

Adesso toccherà ai professori di tutta Italia far amare Dante ai loro studenti, perché la trasmissione della memoria è patrimonio dell’umanità. In particolare su indicazione del sottosegretario alla cultura Lucia Borgonzoni cercheranno di far passare il messaggio che il Gianni Schicchi di cui parla il Poeta nel XXX canto dell’Inferno era il padre di Riccardo Schicchi che inventò Diva Futura. Andrà tutto bene.

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