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Allonsanfàn
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Eichmann, la banalità del male dell’uomo qualunque

“Non c’è il bene e non c’è il male. C’è solo quello che va fatto”.

Sul palco si consuma uno scontro immaginario. In un buio rotto solo da una luce fioca la filosofa ebrea Hannah Arendt (Ottavia Piccolo), scampata alle persecuzioni perché rifugiata negli Stati Uniti, interroga Adolf Eichmann (Paolo Pierobon). Vuole capire chi sia davvero quell’uomo che ha ideato la soluzione finale e organizzato nei dettagli il massacro di sei milioni di ebrei. Vuole capire dove e perché nasca il male.

Eichmann. Dove inizia la notte è lo spettacolo tratto dall’omonimo libro (Fandango) di Stefano Massini. Diretto da Mauro Avogadro, in questi giorni è al Piccolo Teatro Grassi di Milano in prima nazionale.

Un dialogo feroce e potentissimo che si svolge a Gerusalemme – siamo nel 1961 – in occasione del processo che porterà Eichmann a essere condannato a morte per genocidio e crimini contro l’umanità. Dialogo che Massini ha tratto dai saggi di Hannah Arendt, dai verbali degli interrogatori di Eichmann a Gerusalemme, dagli atti del processo, dalla storiografia tedesca ed ebraica. E che ricostruisce passo dopo passo la carriera e l’ascesa del gerarca nazista arrestato dal Mossad l’anno prima in Argentina, e condotto in Israele davanti a un Tribunale con l’accusa di aver perseguito lo sterminio degli ebrei.

Eichmann Stefano Massini

Come si sperimentò il gas? Quando fu deciso e comunicato l’inizio dello sterminio? Come venne gestito in concreto l’orrore di Auschwitz? Incalzato da Hannah Arendt, Eichmann risponde ripercorrendo anche le tappe della sua carriera al fianco di Hitler e di Himmler.

“Mi stimavano. Himmler, un giorno era a Vienna, rimase stupito quando gli tradussi il titolo di un giornale yiddish. Fui pagato da quel giorno”.

Eichmann si presenta come un semplice impiegato, uno che gli ebrei non li odia, anzi ha provato ad aiutarli. Ha avuto un’amante ebrea, è stato aiutato da un ebreo quando cercava lavoro, si è interessato e ha studiato la cultura yiddish. Si presenta così, ma non è così. Eichmann non era un impiegato che ubbidiva agli ordini, era un nazista che decideva della vita degli altri. E nel dialogo con Hannah Arendt svela, forse anche a se stesso, le ragioni profonde di quei suoi atti terribili, scoprendo – e facendoci scoprire – quanto la sete di potere, di denaro e, ancor più tragicamente, il solo desiderio di “fare carriera” siano riusciti a trasformarlo nel protagonista di tante atrocità. Eichmann racconta di quando in cella, a Buenos Aires, vide una guardia intrappolare una lucertola in un bicchiere e osservarla morire. “Fa parte dell’uomo” sostiene.

“Per paura della morte la osserviamo. Per controllarla. Non esiste il male, esiste solo la paura di incontrarlo”

Eichmann risponde e giustifica ogni sua scelta: «Non eseguire gli ordini è tradire»; si dice consapevole di aver agito nel migliore dei modi; e lo fa con una calma e una pacatezza che fanno inorridire. Così ci si trova di fronte a una prospettiva spiazzante: il gerarca nazista non è affatto un “geniale mostro”, ma un uomo spaventosamente normale, ritratto dell’arrivismo e dell’interesse personale, niente di più. Un uomo che assomiglia a noi più di quanto si possa immaginare, capace di stupire per la bassezza e non per il genio. Che non proverà mai rimorso né prenderà reale coscienza delle sue azioni. Un uomo che la stessa Arendt definì come «l’incarnazione dell’assoluta banalità del male».

“Potere è questo: disporre di una vita non tua”.

Ha detto il regista Mauro Avogadro: «La scrittura sempre lucida e graffiante e mai piegata al mero effetto teatrale di Stefano Massini porta gli interpreti a essere ora personaggi e ora persone che fanno i conti, purtroppo, con la Contemporaneità del Male».

Quello stesso Male a cui assistiamo sgomenti anche oggi.

 

Eichmann. Dove inizia la notte al Piccolo Teatro Grassi di Milano fino al 6 marzo. Credito foto di apertura @LePera

 

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